Antiche leggende vichinghe narrano di una "pietra del sole" che, se tenuta rivolta verso il cielo, avrebbe avuto la capacità di rivelare la posizione del sole anche durante una giornata nuvolosa. La leggenda potrebbe avere un fondo di verità.
I Vichinghi erano di certo abilissimi navigatori, in grado di attraversare migliaia di chilometri di mare aperto tra la Norvegia e la Groenlandia, e ben oltre l'Atlantico. Ma le giornate di luce perpetua durante la stagione estiva non avrebbero permesso loro di utilizzare le stelle come punto di riferimento: fu necessario, quindi, prendere il sole come indicatore della direzione di navigazione.
Ma il clima nordico può essere molto incostante, e ci sono parecchie giornate in cui il sole è nascosto da uno spesso e opaco manto di nubi. Come navigare senza l'ausilio dell'unico punto di riferimento disponibile?
La leggenda dell'eroe vichingo Erik il rosso parla di una "pietra del sole". Re Harald, durante una giornata nevosa, chiese al suo fido amico e capo delle guardi Olaf di cercare di localizzare il sole. Per verificare che la risposta fosse corretta, Olaf afferro una pietra del sole e riuscì a trovare la stella, nascosta da uno spesso strato di nubi.
La leggenda della pietra del sole potrebbe davvero varità?, questa pietra potesse essere un cristallo polarizzante.
L'idea che i Vichinghi fossero in grado di sfruttare le proprietà del "cristallo d'Islanda", una varietà trasparente di calcite spesso utilizzata per dimostrazioni sulla polarizzazione della luce. Le proprietà polarizzanti di questo cristallo erano note a chi viveva quelle terre prima di loro.
Ma prove storiche dell'utilizzo di questa forma di calcite da parte dei Vichinghi non ne sono ancora state trovate.
una valida ipotesi era che sollevando verso il cielo questi cristalli e ruotandoli, i Vichinghi potessero essere in grado di dedurre la posizione del sole anche in giornate nuvolose o nebbiose.
In conclusione è più probabile che gli antichi navigatori utilizzavano, in assenza di sole o di stelle, la posizione della costa, le rotte di volo degli uccelli, le rotte migratorie delle balene, e un insieme di altre tecniche che, combinate con un attento spirito di osservazione e con l'esperienza, hanno consentito ai marinai del mondo antico di solcare i mari di tutto il mondo.
Ma la possibilità che i Vichinghi potessero essere in grado di utilizzare cristalli polarizzanti rimane affascinante, anche se priva di reperti archeologici che ne possano dimostrare l'effettivo uso in tempi antichi. Ora come ora, non possiamo far altro che attendere prove storiche, e sperare che prima o poi vengano riportate alla luce le leggendarie "pietre del sole".
Ora vi voglio raccontare una favola inventata da me e scaturita dalla mia passione per tutti i popoli ,sia del nord Europa,che del nord America e Canada,Tutto frutto della mia immaginazione , a parte la ricerca sulla scoperta dell’America da parte Vichinga, raccolta qua e la nel web, e adattata con immaginazione mia.
Buona lettura.
VICHINGHI
Navigava seguendo il percorso tracciato nei secoli da migliaia di Vichinghi prima di lui.
L’alba prepotente irrompeva fendendo il buio e restituendo luce ad una nuova giornata primaverile.
I primi raggi del sole si specchiavano nel mare sottostante creando barlumi di luce sulla superficie irregolare che assomigliavano a migliaia di farfalle che giocavano come impazzite.
L’odore selvatico degli abeti si diffondeva nell’aria trasportato dall’evaporazione della brina.
Si soffermò ha guardare dal mare il menhir dedicato al suo famoso antenato, seguì con lo sguardo la goccia umida che scivolava lentamente seguendo le linee tracciate dall’artigiano che secoli prima aveva scolpito l’occhio sulla stele.
Tutt’intorno decine di stele, ognuna eretta ad eterna memoria di vite leggendarie ed origini divine. Tutte diverse fra loro per grandezza e iscrizioni, secondo l’importanza dell’eroe che ricordava.
Il menhir del suo antenato era il più grande fra tutti. Infatti, Utor era considerato il padre fondatore della città che portava il suo nome ed un eroe leggendario.
Superò il cerchio dei menhir dirigendosi verso il dolmen dove Utor riposava, arrivato scese dalla sua imbarcazione. S’inginocchiò davanti al gigantesco monolito, inclinò la testa e cominciò una silenziosa preghiera.
Rientrò a Utor mentre la città si stava svegliando. Dal promontorio degli avi con lo sguardo abbracciava il golfo dove più di mille anni prima l’eroe e Dio Odino aveva fondato l’omonima città.
Osservò le fortificazioni in pali e pietra solida e squadrata che si univano alle torri di guardia posti ad ogni angolo. Si assicurò che le guardie fossero sveglie e vigili e si diresse verso il porto.
All’ancora c’erano centinaia di navi da guerra, con le loro dimensioni occupavano quasi interamente la rada del porto, alcune delle quali con ancora visibili i segni di recenti battaglie.
Salutò per nome ogni Capitano che incontrava, mentre al suo passaggio i guerrieri battevano la lunga spada sullo scudo tondo accompagnando le grida d’incitamento.
Attraversò la porta est. Sulla via del porto i mercanti e gli artigiani aprivano i loro banchetti mostrando la mercanzia.
Entrò nella sua residenza mentre le cortigiane spegnevano le fiaccole ad olio e si diresse in cucina attirato dall’odore della zuppa di foca appena preparata.
“Harald, Mio Signore, sei ancora andato a pregare?> domandò Oleg.
<Si, e dovresti farlo anche tu invece di perdere il tuo tempo qui nelle cucine del palazzo. Non rischi di diventare troppo grosso?> rispose canzonatorio Harald.
<Mio signore, preferisco affidarmi alla mia spada che pregare e inoltre, più sarò grosso e più facilmente respingerò il nemico.> rispose Oleg accarezzandosi la pancia.
<Mio fedele amico, se continui così diventerai talmente grosso che per portarti sul campo di battaglia sarà necessario che quattro robusti uomini ti carichino su un carro>.
Si portò la tazza di argilla alla bocca sorseggiando la zuppa di Foca ancora calda. Di sottecchi osservò Oleg che scuoteva la testa in segno di disapprovazione.
<Osi giudicare il mio comportamento grosso maiale?> domandò Harald.
<Mio signore, io vedo i pericoli che ci circondano, sento il complotto che ti minaccia, persino qui, a palazzo e tu invece di agire perdi il tuo tempo a pregare! Cosa ti succede mio signore? Forse una donna ti ha portato via il coraggio? Dammi un ordine e ti libero per sempre da questa marmaglia che tieni finanche a corte e che giorno dopo giorno prende forza.> Implorò Oleg.
<Non è ancora giunto il momento che macchi di sangue la tua spada, amico mio. Io voglio riunire l’intero popolo dei Vichinghi, e non posso farlo se soffoco nel sangue l’intera corte ed i rappresentanti dei capi clan.>.
<Ma, Mio Signore…..>
<Basta Oleg! Andiamo nella sala delle decisioni. Ci stanno aspettando!>.
<Dovremmo ucciderli tutti quei figli di cani dei capi normanno, e con loro tutti quelli che li appoggiano, senza perdere tempo a discutere……..>.
Senza più ascoltare i lamenti del capo della guardia il capo dei vichinghi , si incamminò a passo deciso, seguito dal suo fedele amico, nella sala principale dove venivano prese le decisioni più importanti, posta al centro della reggia e che lo ospitava . Titolo che spettava alla guida di quella antica civiltà, dedita alla guerra, e alla scoperta di nuove terre.
I Vichinghi erano anche loro Normanni ,il loro nome derivava da abitanti dei Fiordi, e da vik che vuole dire, baia .Dato che loro erano dediti alla pirateria era per loro era normale attaccare anche i normanni delle popolazioni ,non costiere.
Entrarono nella sala principale. Il sole che penetrava dalla sommità aperta del palazzo a forma conica, rischiarava il consiglio seduto su stuoie di pelle, formando un ferro di cavallo. "potesse questo sole illuminare le loro menti e riscaldare i loro cuori", pensò Rè Harald mentre prendeva posto in testa al consiglio, in posizione leggermente rialzata su una pila di pelli rozzamente lavorate.
Tutti i capi clan sfilarono le loro spade adagiandole sul pavimento con l’elsa rivolta verso di lui in segno di fedeltà. Una seconda fila era formata dai rappresentanti delle tribu che erano state assoggettate , che sedevano disarmati.
Il sole illuminava il giovane volto di Harald, e i giochi di luce ed ombre conferivano al suo viso un aspetto ancora più imponente ed austero. I folti capelli biondi brillavano per effetto dell’olio di balena. Come il suo corpo che pareva scolpito nella pietra. Le numerose cicatrici, ricordo di mille battaglie, contrastavano per il loro rossore con la carnagione chiara.
Harald indossava una armatura leggera di cuoio rozzamente lavorato, con un gonnellino di yuta e gambali su robusti calzari anch’essi in cuoio.
Sfilò la spada e impugnandola la portò perpendicolare al corpo in segno di saluto, quindi l’adagiò a terra e cominciò a parlare :
Capi e consiglieri del popolo Vichingo salutando con il tipico saluto dei Vichinghi augurava salute e abbondanza di pesce e nuove conquiste, quindi nella maniera dei rappresentanti dei popoli suoi alleati annunciò :
Amici, che Odino illumini il vostro navigare per infiniti giorni>. Poi con tono più solenne continuò :
<Ormai l’esercito nemico è alle porte. Il generale che li comanda, con la primavera si appresta all’assedio delle nostre terre, i nostri informatori rivelano che ha riunito un possente esercito che noi da soli non potremo contrastare. Le mie intenzioni sono quelle di inviare i miei ambasciatori presso le corti di tutti i clan dei Normanni , per poterli convincere ad unirsi nella lotta contro gli Inglesi.>
Grande Harald pronunciò Olaf alzandosi in piedi, con la sua voce ruvida. Egli era il più anziano dei capi del popolo Vichingo era lui a presiedere il consiglio, aveva combattuto con il padre di Harald le faide interne che avevano insanguinato la nazione.
<Come intendi convincere tutti i popoli Normanni ad intervenire in nostro aiuto contro le forze Inglesi ? Dimentichi forse che per decenni hanno cercato, coalizzandosi di sterminarci?>
Harald dovette riflettere un momento prima di rispondere.
<No. Non lo dimentico Olaf, ma voglio convincerli ad unirsi a noi contro l’invasore perché se non lo faranno egli Inglesi prendono la nostra città tutta la Scandinavia sarà in pericolo. Conquistato il nostro porto gli Inglesi possono apprestarsi ad una lunga campagna di conquista che finirà col distruggere tutta la nostra civiltà.>
<Quel che dici è vero, mio Signore> disse Amon, il più possente e prestante fra i capi Vichinghi.
<Ma sarà più forte la paura degli Inglesi o l’odio nei nostri confronti a far decidere tutti i popoli Scandinavi>.
Harald guardò ammirato Amon, i suoi tratti nobili conferivano alla figura possente una naturale eleganza che affascinava chiunque. Le trecce dei suoi capelli portate nella maniera Vichinga , arrivavano fino alle spalle, l’armatura di bronzo indossata sopra una leggera tunica lasciava scoperti i suoi possenti bicipiti.
<Questo non posso saperlo> rispose <Ma è nostro dovere tentare, per il nostro popolo e per tutta la scandinavia.>
E così dicendo guardò ad uno ad uno tutti i membri del consiglio, prima di continuare : <Manderò inoltre una delegazione che chiederà l’appoggio dei nostri alleati .>
A queste parole Nico seduto al suo fianco gli si accosto mormorando al suo orecchio : <Sei pazzo, Mio Signore, quel popolo di mercanti schiererà i suoi guerrieri solo dalla parte dei vincitori, rischieremmo di averli contro mentre sono nelle nostre file.> Harald non rispose se non con un gesto stizzito del capo e proseguì :
<Quindi miei fedeli amici vi invito a pronunciarvi. Votate la mia decisione se questa vi pare giusta.>
Ad uno ad uno i capi del consiglio in maniera solenne si apprestavano alla votazione che consisteva nel lasciare la spada con l’elsa in direzione del loro rè in segno di approvazione o volgere la lama nella medesima direzione per esprimere disapprovazione. Tra i dodici membri del consiglio solo Colmen volse la sua spada. E dopo essersi alzato in piedi con il capo chinato disse :
<Mio Signore, tu sai che la mia fedeltà in te è ferma e sicura. Ma la mia famiglia ed il mio Clan ha subito sanguinosi attacchi da parte dei popoli nordici confinanti con le mie terre. Non potrei averli vicino in battaglia senza pensare di trapassare con la mia spada quei figli di foca.> mentre diceva questo si massaggiava la tempia deturpata da un colpo d’ascia di un guerriero dei guerrieri Normanni, continuò quindi :
<Comunque ritengo le tue ragioni e quelle del consiglio superiori alle mie e mi inchinerò quindi alla tua volontà ed alle decisioni che questo consiglio prenderà> e si sedette.
<Sappiamo quello che hai subito nobile Colmen> disse Harald in tono conciliante :
<Sappiamo della perdita di tuo figlio che ancora oggi ti addolora e che addolora tutti noi. Ma il tempo delle faide deve cessare. Il nostro popolo deve unirsi altrimenti come predetto dal dio Odino" la nostra civiltà è destinata a scomparire.>.
Mentre diceva questo volse il suo sguardo verso Joanna che sedeva in parte alla sala tra la Janas, una piccola fata delle rocce e la Cogas la maga di corte.
Teneva in mano il fuso e filava in continuazione un filo sottile che simboleggiava il destino di tutti quelli che lei conosceva. Vestiva di nero, con una maschera orribile sul viso, la sua ambiguità provocò a Harald un brivido nella schiena, che si sforzò di continuare :
<Quindi, con la vostra approvazione nobili guerrieri Vichinghi, invierò i miei ambasciatori presso le corti di tutti Normanni e mi recherò personalmente dal capo delle tribu che tutti ormai chiamano Stokkolm. Partirò oggi stesso accompagnato dal mio fedele Oleg e da venti dei suoi migliori uomini>.
Detto questo raccolse la sua spada. Con gesto sicuro la inguainò e attraversò la sala del consiglio ricevendo al suo passaggio cenni di approvazione dai capi.
Guardò ancora una volta in direzione del sinistro gruppetto seduto in fondo alla sala e si accorse che le tre maghe parlottavano fra loro. Joanna , come se avesse sentito il suo sguardo lo ricambiò, e lui attraverso la maschera notò un sinistro luccichio che gli procurò un nuovo brivido.
Salì le scale che conducevano agli appartamenti reali, aprì la porta ed osservò alcuni istanti la sua sposa che seduta si faceva lisciare i capelli da una giovane cortigiana. Quando la Regina volse il suo sguardo, quegli occhi penetrarono in Harald più a fondo di una freccia scagliata dal più abile degli arcieri.
Dopo tanti anni ancora rimaneva abbagliato da tanta nobile e fiera bellezza. I capelli biondo cenere che incorniciavano il suo ovale del viso perfetto, il suo corpo snello ed agile. Il suo sorriso contagioso e fresco.
<Britta!> invocò Harald.
Con un cenno delicato lei licenziò la cortigiana, che si allontanò con un fruscio di vesti dall’appartamento reale, chiudendo la porta alle sue spalle.
<Mio signore> rispose Bitta andandogli incontro.
<Stanotte eri agitata nel sonno. Quali incubi ti tormentano, mia amata moglie?> domando Llolaos.
<Ogni volta che ti appresti ad un viaggio sono tormentata da brutti sogni e da cattivi presagi, Mio Signore> rispose mentre appoggiava il suo viso nel possente petto del marito.
<Mia Regina, dovresti forse dare meno ascolto alla Cogas e più ascolto al tuo cuore, che non ho mai conosciuto cosi fatalista> la rimproverò.
<Mi dispiace amor mio, ma temo per te, in questi giorni cosi amari per il nostro popolo>.
Lui sentì la sua nudità attraverso il leggero talamo che indossava, accosto la sua bocca a quella di Bitta assaporando una fragranza come di fiori e latte, la baciò con voluttà, accarezzando le forme dei suoi seni e dei suoi fianchi, mentre lei si aggrappava dolcemente ai folti capelli sopra l’orecchio.
Con delicatezza lui slacciò la leggera veste che scivolò ai piedi di Britta. Mentre lei lo prese per mano dirigendosi nel letto, lui si sfilò l’armatura.
Fecero l’amore a lungo. Concedendosi l’un l’altro con passione ardente. Erano ancora distesi esausti, quando sentirono bussare.
La porta si aprì e la stessa cortigiana di prima entrò con in braccio il piccolo Norax che scalciava e protestava per la fame.
Lo porse a Britta che lo avvicinò al seno calmandolo istantaneamente. Harald lo guardava ammirato, era così orgoglioso di quel bambino. Ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui si sentiva pervadere da un senso di tenerezza infinito.
Accarezzò per qualche minuto i suoi capelli e stuzzicò i suoi piedini prima di alzarsi controvoglia.
Si rivesti indossando l’armatura da guerra con i pettorali di bronzo, lo scudo tondo, la corta ma enorme spada. Tenendo l’elmo sotto braccio baciò la moglie ed il figlio e girandosi appena in tempo per non vedere le lacrime che solcavano il viso di Britta si avviò verso la piazza d’armi dove Oleg con venti dei suoi migliori Vichinghi, erano in attesa di partire.
Prima di incamminarsi si infilò sulla testa l’elmo conico sormontato da due enormi corna di bue, quindi con gesto fece cenno alla pattuglia di mettersi in cammino.
Imboccarono la strada che conduceva al porto, cominciando a scendere verso la darsena, dove erano più numerose le bettole e le osterie frequentate dai guerrieri, dai commercianti, dagli scaricatori e dai soldati della flotta. Utor viveva un periodo di prosperità ed il suo porto brulicava di vascelli che portavano merci catturate in tutti i paesi ,e su tutte le navi che incontravano in mare Nel quartiere meridionale, dove c’erano i magazzini era possibile udire vari idiomi : Normanni.
Superato il porto presero la strada costiera in direzione della foresta. La primavera cambiava rapidamente il paesaggio solitamente brullo e pietroso, regalando variegate sfumature di colore. L’aria si riempiva dell’odore della resinae delle altre piante in fiore.
Oltrepassato il crinale perse la vista della città, e fu pervaso da un senso di impotenza e leggera angoscia come un padre che perda di vista suo figlio.
Camminava accanto ad Oleg , insieme ammiravano il mare sottostante che si infrangeva sugli scogli bianchi della costa, sulla spiaggia un pescatore con la sua famiglia era intento a riparare le reti.
<Mio signore, pensi di riuscire a convincere i Normanni alla tua causa?> domandò Oleg.
<il loro capo , da quando è morto il padre, si é sempre dimostrato leale con Utor, lui non avrebbe mai guidato i suoi uomini contro fratelli Vichinghi. Quindi credo che mi appoggerà contro gli Inglesi>. Rispose Harald.
<Ma come farai con gli altri copi villaggio dell’entro terra? Per secoli ci siamo scannati, non sarà facile che ci appoggino contro gli Inglesi>. Osservò Oleg pensieroso.
<Si certo, mio fedele amico, non sarà facile. Ma le ragioni che ho espresso in consiglio, le ritengo valide anche per teste dure come loro>.
<Mio Signore, forse riuscirai a convincere uno ma tutti gli altri che si sentono talmente protetti dalle montagne della loro terra da ritenersi invincibili in casa propria>. Insistette Oleg.
<Quelle teste dure saranno certamente le più difficili da convincere, ma se tutti i clan saranno dalla nostra parte, uniti nella causa comune, lui non potrà far altro che schierarsi al nostro fianco,> disse convinto Harald.
Centinaia di gabbiani banchettavano sulla scia di una barca da pesca, lanciando striduli e acuti strilli.
Nelle colline circostanti greggi di alci pascolavano tranquilli sotto l’occhio vigile delle donne , che al loro passaggio sollevavano il lungo bastone ricurvo in segno di saluto.
Arrivarono in vista di del primo villaggio quasi al tramonto, la vista della fortezza impressionò i viaggiatori. Le sue mura verniciate dal rosso del tramonto conferivano, se possibile, ancora più imponenza.
Il perimetro era enorme e decine di barriere erano stati erette a protezione della città.
In posizione sopraelevata nel colle si erigeva la residenza del capo
Nel porto, sostavano decine di imbarcazioni di diverse dimensioni, le più grandi delle quali misuravano oltre i 40 metri e le cui gigantesche vele ripiegate formavano una croce con il lungo albero.
La flotta era considerata unanimemente la migliore di quei mari. Grazie a lei secoli prima i Vichinghi avevano sconfitto e cancellato tutte le civiltà dei mari del nord.
Il drappello arrivò alla porta ovest della città. Gli arcieri in cima alle palizzate e ai lati della porta osservavano minacciosi.
Harald, solo, si avvicinò a portata di voce dal capo delle guardie. Un uomo dall’aspetto ruvido che con voce stridula gli intimò :<Fermo chi se e cosa vuoi?>.
<sono Rè Harald dei Vichinghi !> rispose Harald esprimendo il desiderio di parlare con loro capo.
<Fermo lì> disse l’uomo intimandogli di attendere.
Harald si mise a sedere su una grossa pietra subito imitato dalla sua guardia. Si mise quindi in paziente attesa ai bordi della strada.
Si mise una pelle di cervo sulle spalle per proteggersi dal vento del mare che, ora che il sole era calato, si faceva pungente procurandogli brividi di freddo.
Le navi si apprestavano a rientrare nella rada illuminata del porto, quando la grande porta della città si aprì.
L’uomo ruvido di prima gli si fece incontro e con un leggero inchino del capo disse: <vieni sei il benvenuto>, disse invitando Harald a seguirlo.
Fece un cenno ai compagni di seguire l’uomo.
Harald e il suo drappello attraversarono la grande porta e proseguirono fra gli sguardi dei cittadini fino alla caserma principale dove furono fatti sostare i componenti la sua guardia , consentendo al solo Oleg di seguire il suo Re.
Le vie della città erano animate dal movimento della gente che rincasava dopo il lavoro. Gia artigiani ed i commercianti si apprestavano a chiudere le loro botteghe.
La strada che portava a palazzo era lastricata di pietre e ornata ai bordi da piante profumate e ben curate.
In ogni casa le donne accendevano il focolare al centro della stanza nel modo tipico di quelle genti.
<Qual è il tuo nome soldato?> domando Harald all’uomo che li guidava.
<Mann> ,rispose il capo delle guardie.
<L’avevo intuito dal tuo aspetto soldato!> disse mentre superavano un ara sacra. Luogo per i sacrifici al divino Odino e dove venivano bruciate le salme dei defunti.
Arrivati in cima all’altura dove, ergeva imponente la casa del capo Erik. Entrarono nella sala , sede della corte .
Al centro della sala un focolare crepitava sprizzando scintille provocate dall’umidità dei rami di abete che bruciavano.
Da una delle finestre della sala si poteva ammirare il paesaggio sottostante. Il porto si animava di nuova vita con i marinai che sbarcavano per infilarsi nelle bettole della darsena dove era facile trovare compagnia in anfore di vino forte e donne compiacenti.
<Mio buon amico, ricordo i tempi in cui questa città era animata da commercianti e mercanti più che da guerrieri> disse senza voltarsi Erik.
Harald e Oleg posarono un ginocchio in terra sfilandosi l’elmo. <salute a te amico mio formulò Harald.
<Alzati ti prego, Harald. Tu sei un mio pari, non è dovuto che ti inchini a me. Vieni piuttosto scaldiamo le nostre membra vicino al fuoco> così dicendo si sedette in una grossa panca di pietra posizionata intorno al focolare ed invitando l’ospite accanto a lui.
Un servo accorse porgendo ai dignitari due coppe di bronzo ricolme di un liquido acidulo che poteva somigliare alla birra dei giorni nostri.
<Accompagna il nobile Oleg alle cucine affinché trovi ristoro> disse Erik al servo. <E occupati di qualsiasi cosa abbisogni>.
<ti ringrazio Erik > ringraziò Oleg con un inchino, attendendo un gesto di assenso dal suo Re prima di seguire il servo.
<Allora amico mio, ti ascolto perché non mi illudo che la tua sia una semplice visita di cortesia, avanti dunque. Parla!> disse Erik mentre con un ramo indurito dalle fiamme riassestava il fuoco.
<Oggi ho tenuto consiglio. I miei informatori rivelano che la flotta Inglese è pronta ad abbattersi su Utor . Ho bisogno del tuo appoggio per ricacciare il loro capo ed i suoi uomini nell’inferno da dove sono venuti. Dopo la morte di tuo padre noi abbiamo ambedue governato le nostre terre interrompendo la guerra fraterna che ci divideva> disse Harald posando una mano sulla sua spalla <se gli inglesi avranno la meglio su di noi niente li potrà fermare. Distruggeranno queste terre e con essa la nostra civiltà. Ti prego quindi di unirti a me contro quei figli di foca> supplicò Harald.
Erik guardò negli occhi Harald, si mosse nervosamente sulla panca e con gesto civettuolo si rassettò i capelli. Il suo profilo appariva deformato dalle fiamme che si specchiavano sul suo viso, ma nonostante questo era di una bellezza quasi perfetta. La sua fronte era ampia e liscia ed i suoi occhi grandi erano leali e sinceri, non indossava l’armatura ma la tunica di pelle faceva trasparire le forme scolpite del suo corpo.
<Fratello! Anche i miei informatori rivelano dell’esercito Inglese che ti minaccia. Ma parlano anche di una moltitudine di oltre 500.000 mila guerrieri e più di mille navi. Come intendi contrastarli senza l’appoggio di tutti i Normanni?> domandò Erik.
<Ho mandato i miei ambasciatori da tutti i capi del popolo Normanno sono venuto personalmente da te perché sono convinto che se ottengo il tuo appoggio riunire l’intera coalizione sarà più facile> rispose Harald.
<Io sono con te. Perché è meglio combattere che attendere di essere colonizzati o peggio ancora distrutti.> affermò Erik.
<Ti ringrazio amico mio, ti informo anche che oggi è partita una imbarcazione con l’ambasciata per il rè dei Galli, anche lui dovrà aiutarci se vuole salvaguardare i suoi avamposti commerciali !>
<Su questo non ci conterei troppo Harald, conosci i Galli. Sono un popolo avido che non conosce la lealtà, scommetto che sono già in trattativa con gli Inglesi per comprarsi il mantenimento dei loro insediamenti in caso di nostra sconfitta!>
<Se così fosse, e non tarderò a scoprirlo, li cacceremmo per sempre dalle nostre terre> rispose Harald.
<Scusami amico mio, ma questo gran parlare mi ha fatto dimenticare i miei doveri di ospite>, detto questo batté le mani e prontamente fecero il loro ingresso alcuni schiavi con stoviglie colme di cibo e fresche bevande.
Posarono nei bordi del camino degli spiedi di metallo con merluzzi arrostiti, carne di alce e di maiale, uova di oca selvatica.
Prima di tuffarsi nell’invitante pasto, brindarono alla nuova alleanza.
Il mattino successivo, fu svegliato prima dell’alba, dalle grida di Oleg che provenivano dalla stanza accanto alla sua. Si proiettò fuori dal letto e corse, ancora nudo, verso la stanza da cui provenivano urla ed imprecazioni. Appena aprì la porta una giovane ragazza, reggendosi le vesti con le mani, sgattaiolò fuori.
<Guarda Harald , guarda cosa mi ha fatto> disse mostrando i segni lasciati dal morso della ragazza sul suo inguine.
Harald non poté trattenersi, si lasciò andare ad una fragorosa risata prima di annunciare: <Oleg , amico mio, non hai ancora imparato che le donne diventano schiave solo per amore? Orsù vestiti ora>.
Rientrò nella sua stanza quando i primi tiepidi raggi di sole penetravano dalla finestra. Si affacciò e uno spettacolo magnifico lo rapì. Il disco solare si ergeva come venisse fuori dall’acqua, appariva tremolante attraverso la fumana di calore che produceva. Una scia rosso melograno attraversava il mare fino al porto espandendosi a vista d’occhio, come un fuoco si allargava sempre più cambiando colore. Dal rosso all’arancione fino a coprire con un manto giallo l’intera città.
Rimase li alcuni minuti, godendo il piacere di quei raggi benefici prima di vestirsi.
Mentre indossava l’armatura fu colto da un improvvisa idea. Oleg interrupe i suoi pensieri : <re Erik ci sta aspettando>.
<Bene, andiamo> disse Harald e si incamminò attraverso la stretta scala che portava verso la piazza d’armi, seguito dal fido Oleg che camminava ancora contrito per il dolore all’inguine.
Uscirono all’esterno costretti a proteggersi gli occhi dai raggi solari che arrivavano perpendicolari . Erik montava una splendida giumenta bianca ,sicuramente bottino di qualche scorribanda ,che pascolava tranquilla mentre il suo cavaliere da quella posizione privilegiata osservava la città sottostante.
Harald intuiva i suoi pensieri, riconoscendo lo stesso senso di protezione che gli era proprio quando guardava Utor dal promontorio degli avi.
<salute Erik > pronunciò Harald.
<Salute a voi, amici miei! Spero abbiate dormito bene e che la mia dimora via abbia offerto ristoro!> rispose Erik continuando poi :
<Mio caro amico, so quanto ti piace la caccia, quindi mi sono permesso di prepararti una piccola sorpresa! Appena fuori dalla città nel bosco ad ovest i miei uomini hanno individuato un Alce di almeno 300 kili. Sarebbe una bella preda per te?> domandò con un sorriso canzonatorio.
<Cosa aspettiamo ancora qui. Che il sole si alzi e che quella meravigliosa bestia vada a rintanarsi in un affranto fresco? Fammi strada amico> rispose entusiasta Harald.
Attraversarono la piazza d’armi dove decine di guerrieri, sotto l’occhio vigile degli Ufficiali si addestravano, a erano impegnati in manovre veloci e spericolate dove gli arcieri sotto la scagliavano frecce a ripetizione contro pagliericci dalle sembianze umane.
Altri guerrieri si addestravano con le lance, spade e con grosse asce classiche dei popoli Vichinghi producendo un suono ritmico di metallo.
Harald e Oleg rimasero piacevolmente sorpresi dal grado di addestramento dei guerrieri di Erik e si complimentarono con lui.
Uscirono dalla porta ovest dopo aver attraversato la città, e subito svoltarono a sinistra verso un sentiero che abbandonava la strada principale per dirigersi verso il bosco. Ai margini del bosco erano attesi dai battitori pronti e già eccitati per la caccia.
Ad un cenno del loro Re questi presero a battere con canne su grossi tamburi di vescica di cervo , mentre i quattro guerrieri correvano eccitati dalla caccia alla volta del punto di posta. In una rada protetta da rocce, si appostarono in attesa dell’alce , sospinto fin lì dai battitori.
Trascorsero minuti interminabili dove ognuno dei quattro uomini si guardava in cagnesco, per la naturale rivalità fra cacciatori. Ognuno di loro si era appostato dove riteneva fosse il posto migliore in base alla propria esperienza. In quel momento non esistevano Re, Nobili, guardie, o servi, erano semplicemente cacciatori.
L’alce poteva arrivare al punto di posta solo attraverso una stretta stradina delimitata dalla sinistra da un declivio del terreno e sulla destra da una folta e impenetrabile macchia.
L’incessante ritmo dettato dai battitori si faceva sempre più frequente e vicino. Tutti e quattro gli uomini tesero il loro arco da caccia puntandolo in un punto immaginario del terreno dove prevedevano che l’animale sarebbe passato. Erik era il più vicino alla stradina. Con il mezzobusto che affiorava dalla macchia mediterranea. La terra umida fra gli arbusti, complice l’umidità non ancora assorbita dal primo sole, cedette, facendolo scivolare di lato che perse l’equilibrio fra le risate dei presenti.
Era ancora intento a ripulirsi i gambali dalla terra quando sentì un calpestio tremendo a poche decine di metri da lui. Sollevo l’arco ma il poco spazio che divideva l’arma dalla bestia non gli permetteva di scoccare la freccia.
Stava per gettarsi di lato per scartare l’avanzata della tremenda bestia quando un sibilo gli sfiorò l’orecchio destro e vide la freccia scagliata con mirabile abilità conficcarsi nell’occhio dell’alce, uccidendolo all’istante. Come sospinto da una forza di gravità l’animale proseguì la sua corsa per pochi passi ancora prima che le zampe cedettero e scivolasse con il corpo fino ai piedi di Erik dove fra un turbinio di polvere si arrestò.
Ancora teso per lo scampato pericolo sudava copiosamente quando sentì la voce di Harald che in maniera canzonatoria diceva :
<Amico mio, mi hai ingannato, questo non è un alce è un toro! Hai visto le dimensioni? Per Odino non ho mai visto un alce come questo! Peserà almeno 400 kili . Non ci sono così dalle nostre parti vero Oleg > domandò.
<Ti sono debitore della vita Harald> disse Erik in tono solenne, <se avresti scagliato la tua freccia un attimo dopo avresti dovuto raccogliere anche me da terra>.
<Non ci pensare, Fratello. Così e stato più divertente>, rispose Harald mentre si inchinava verso la bestia per girarla, prontamente aiutato da Oleg e Mann.
Prese quindi il suo pugnale di duro metallo , con l’impugnatura rozzamente lavorata e dopo averle praticato un incisione tra le costole estrasse il cuore e con le mani a coppa lo porse ancora caldo e palpitante a Erik.
<No fratello! Il primo morso spetta a te> sentenziò. Allora Harald affondò i denti nel cuore della bestia staccandone un lembo che prese a masticare voracemente. Passò poi il macabro trofeo a Erik che imitò il suo compagno prima di cederlo ad Oleg e Mann. Quel silenzioso e antico rito assicurava ai cacciatori l’assorbimento della vitalità della povera bestia uccisa.
Dopo il cerimonioso banchetto, ancora eccitati dal sangue appena bevuto, ripresero il cammino verso il villaggio.
<Compagni rientriamo dalla porta sud attraverso il porto, faremo un giro un po’ più lungo ma sicuramente più piacevole.> Propose Erik.
<A quest’ora le massaie sono al fiume per lavare i panni e fare il bagno. Per questo il Mio Signore vuol passare dal fiume.> disse Mann ad Oleg.
<Schiavo insolente, ti ho sentito sai? Ma cosa vuoi farci? Noi Vichinghi siamo tradizionalisti, Preferiamo ancora le femmine> rispose Erik fra le risate di Harald e Oleg.
Arrivarono ai margini della foresta delimitata dal fiume. Con grande delusione la rada naturale del fiume appariva deserta. La spiaggia al di là del fiume, formata da piccolissimi ciottoli di pietra bianca, dove ogni mattina le donne del vicino villaggio usavano lavare i panni accompagnando il lavoro con giochi e canti, era vuota, silenziosa.
Attraversarono il piccolo pontile in legno di quercia che portava alla strada verso il villaggio ed interrotta da una porta dello stesso legno sostenuta da due torri di sentinella, vuote anch’esse. Passarono attraverso la porta semiaperta.
Decine di capanne con mura di pietra e tetto in canne artigianalmente incastrate fra loro, tutte uguali, tutte vuote. Nessun segno di presenza umana. Fuochi spenti, attrezzi abbandonati nelle messi, porte delle capanne spalancate.
<dove siete tutti?> Allora! Dove siete? Urlò Erik.
Nessuna risposta. Arrivarono dall’altra parte del villaggio ed attraversarono una porta uguale all’altra che dava verso i campi.
Superato un leggero pendio, nel crinale che si affacciava al mare uno spettacolo terrificante li gelò.
Decine di pali conficcati per terra sostenevano altrettanti uomini infilati per il mento. Due file parallele sui filari appena smossi dall’aratro. Quegli uomini erano stati impalati vivi. Mentre si domandavano cosa fosse successo e chi mai avesse potuto compiere un simile massacro, udirono delle grida provenire dalla spiaggia sottostante il crinale.
Corsero ed in pochi istanti furono in vista della spiaggia.
Due navi erano all’approdo e cercavano di caricare a bordo le donne e i bambini superstiti del villaggio, che urlavano e si dibattevano.
Una donna con il suo bambino in braccio cercò di scappare. Arrivò quasi in cima al crinale quando fu raggiunta dal suo aggressore che la spinse a terra. Poi gli strappò il bambino dalle braccia afferrandolo per i piedini. Roteo il piccolo corpo fracassandogli il cranio in un masso.
Il sordo e secco rumore prodotto dall’esplosione della testa del piccolo fece impazzire di rabbia Erik che si proiettò in avanti sfilando la spada ed in un unico movimento tranciò di netto la testa all’assassino.
Haral lo seguì immediatamente mentre Oleg e Mann cominciarono a scoccare frecce in direzione degli aggressori che trattenevano gli ostaggi.
Gran parte dei guerrieri era già a bordo, e mentre questi tentavano di scendere dalle navi per contrastare l’aggressione, venivano uccisi quando ancora erano a mezz’aria dalla spada di Erik o dall’ascia di Harald.
Intanto le donne ed i bambini liberati fuggivano disordinatamente cercando rifugio oltre il crinale.
Tra i due equipaggi gli sconosciuti aggressori formavano una compagnia di almeno trenta uomini, ma ormai erano rimasti non più di sei o sette uomini per nave, che seduti ai remi ed incitati dai loro comandanti cercavano di allontanarsi da quei due demoni che avevano ucciso i loro compagni.
Ma i due grandi condottieri Vichinghi non intendevano lasciarsi scappare i responsabili della morte atroce di poveri contadini e pastori loro fratelli.
Si arrampicarono sulle murate delle navi, una per ciascuno, e protetti dalle frecce scagliate da Oleg e Mann si issarono a bordo.
Erik fronteggiò il capitano con il timoniere che attaccarono simultaneamente. Trafiggendo sul collo il primo e parando l’attacco del secondo con lo scudo tondo per poi usarlo come arma fracassandogli il cranio prima che cadesse oltre la murata della nave. Fece in tempo ad uccidere altri due rematori prima che il resto dell’equipaggio si gettò in acqua cercando salvezza nel mare. Lasciò allora cadere le sue armi, raccolse un arco ed una faretra abbandonata dai rematori in fuga e scagliando abilmente abbatté uno dopo l’altro i suoi nemici.
Si girò per constatare la situazione dell’altra nave e vide Harald che fronteggiava l’assalto di sei uomini contemporaneamente. Non usava lo scudo, alla destra impugnava la spada e nella sinistra l’ascia bipenne che roteava nell’aria disegnando figure eccentriche. Stava per saltare per dar man forte al compagno, quando un urlo terribile di Harakd che si apprestava a contrattaccare, lo obbligò a fermarsi ad osservare la danza di morte che l’amico si apprestava ad eseguire.
Colpì prima quello che appariva il capo di quella accozzaglia di predoni con l’ascia, trapassando l’armatura e penetrando a fondo nelle carni, sempre roteando l’ascia staccò parte del cranio ad un altro. Mentre con la spada trapassò un soldato che si era scoperto il fianco portando un attacco. Una freccia, probabilmente scagliata da Oleg , abbatté un quarto uomo che lo stava attaccando da sinistra.
I due superstiti gettarono le armi e si inginocchiarono supplicando Harald affinché li risparmiasse.
Harald guardò Erik e senza volgere lo sguardo con un unico fendente decapitò i due pirati.
Tutti e due si appoggiarono esausti alla murata della nave. Il rumore del metallo ronzava ancora nelle loro orecchie restituendo le terribili immagini del massacro appena compiuto. Rimasero silenziosi per alcuni minuti prima di scendere sulla spiaggia e lavarsi il sangue sfregandosi la sabbia umida dell’arenile sulla pelle.
Oleg e Mann issarono a bordo i cadaveri mutilati e appiccarono il fuoco alle navi prima di sospingerle al largo.
<Chi erano secondo te?> chiese Harald a Erik mentre infilava la spada nella battigia per lavarla dal sangue.
<Non lo so amico mio, ma viste le dimensioni della nave non arrivavano da lontano, potevano essere normanni di qualche isola non ancora depredata > rispose Erik
<Non credo, hai visto le armi che portavano? Spade lunghe e non corte come le nostre, e non parlavano la lingua Vichinga . Sembravano piuttosto Inglesi .> Osservò Harald.<Possono essere degli esiliati, dei criminali in fuga. Mah. Proviamo a sentire le donne. Forse hanno potuto cogliere delle informazioni durante l’aggressione che hanno subito.> propose Harald.
Le donne erano raccolte al centro del villaggio. Non osavano guardare in direzione dei macabri pali. Piangevano disperatamente i loro mariti, i loro padri e fratelli così orribilmente assassinati.
Prima di sottoporre le donne a qualsiasi domanda Erik propose di tirare giù quei poveretti e dargli sepoltura, affinché le donne potessero erigere una colonna di pietre a loro ricordo e poterli piangere dignitosamente.
Si apprestarono quindi al triste e duro lavoro. Oleg e Mann prepararono una catasta di legna proprio a ridosso del villaggio, mentre i due Re ricomponevano i miseri resti lavandoli dal sangue nell’acqua del fiume prima di issarli sulla catasta di legna.
Le donne silenziosamente raccoglievano pietre bianche e tondeggianti dal fiume per costruire un tumulo per i propri cari.
Il sole era ormai calato quando la pira di legna aveva finito di bruciare i poveri resti. E come a sottolineare quell’infausta giornata il tramonto colorava di rosso le nuvole frastagliate dal vento. Harald si accorse che Erik il grande combattente piangeva sommessamente e questo aumentò ancora di più la stima in lui.
Accesero un grande fuoco dove arrostirono un bue anch’esso ucciso dalla furia degli sconosciuti aggressori. Mentre la grande bestia girava sul fuoco facendolo crepitare per il grasso che colava, Erik con il coltello tagliava ampie strisce di carne che offriva prima ai bambini e poi alle donne.
<cosa farete ora che non avete più uomini> azzardò Harald a quella che sembrava la più anziana ed alla quale le altre donne mostravano rispetto, e che anche lui nella formula di considerazione dovuta agli anziani chiamò vecchia nonna.
E tu chi sei ? domandò la donna sospettosa guardandolo dritto con i suoi occhi liquidi per la lacrime e contemporaneamente opachi per l’età avanzata.
<Io sono il re di Utor e fraterno amico del tuo re Erik , Tuo Signore e sono anche quello che ha salvato la tua pellaccia. Vecchia sospettosa!> rispose stizzito Harald.
<Scusami, ma sono ancora sconvolta per la perdita della mia famiglia> con un lembo della veste si asciugò la lacrime che rigavano le sue raggrinzite guance prima di continuare : <Non so chi fossero quei maledetti! Parlavano una lingua mai sentita. Ma quello che ti posso dire è che ieri il villaggio ospitava due mercanti Galli con il quale il mio povero marito, che era il capo villaggio, era in affari. Stavano comprando parte del nostro raccolto. Quando siamo stati aggrediti, stamane prima dell’alba, erano spariti. Ma la cosa più strana che ho notato erano i fuochi accesi sulla spiaggia che ho visto quando quei figli di foca mi stavano trascinando via. Come a segnalazione di un approdo.>
<Pensi dunque che i Galli abbiano acceso i fuochi e che fossero complici degli stranieri?> domandò Harald , porgendogli una coppa di fresca acqua.
La vecchia donna si portò alle labbra l’acqua di contenuta nella coppa e inclinando la testa all’indietro si rovesciò in gola tutto il contenuto prima di rispondere :<E chi vuoi che possa essere stato? Vedi fra noi un uomo rimasto vivo? O una donna che non pianga qualcuno? Sono stati sicuramente quei Galli ad attirare qui quell’orda selvaggia. Non mi sono mai piaciuti i Galli O mio signore, sono gente senza patria e famiglia, lo dicevo a mio marito di non fidarsi>, e nominando il marito ricominciò a piangere.
Harald guardò Erik che aveva seguito l’intera conversazione. Gli sembrò che tagliasse con ancora più decisione le strisce di carne dal bue, gli rivolse un cenno come a chiedergli se aveva sentito. Erik scosse la testa affermativamente traendo un lungo sospiro.
Fu così che ebbe inizio il declino della civiltà Vichinga, ma dovete sapere che per centinaia d’anni questi feroci guerrieri hanno terrorizzato le coste di tutta Europa , fino alle coste africane.
Specialmente l’inghilterra nel IX secolo sperimentò la loro ferocia, con 400 navi risalirono il Tamigi saccheggiando Londra.
E anche l’Irlanda vide arrivare sulle proprie coste le navi con la testa di drago dei Vichinghi, ma era solo l’inizio dell’era di questo popolo .
L’ondata migratoria se così può essere definita portò pochi anni dopo i vichinghi a numerosi saccheggi di monasteri e uccisioni di alti prelati, sia nel nord della cristiana Spagna che nell'odierno Portogallo, cosa che durò circa un secolo.
Anche nel sud islamico i califfi ebbero a che fare con razzie vichinghe fin dall'844, cosa che provocò l'immediato allargamento di porti e la costruzione di forti flotte di contrasto, con
Successivamente i vichinghi spostarono le loro scorribande verso il nord, colonizzando l’Islanda e inseguito la Groenlandia.
Si pensa che i primi viaggi verso l’Islanda furono condotti da coloni che in contrasto con le diverse tribù della Norvegia decisero di affrontare questo lungo viaggio verso l’ignoto e ottenere la loro indipendenza.
Questi lunghi e pericolosi viaggi sono stati fondamentali per comprendere quanto i vichinghi non fossero soltanto rozzi guerrieri, ma anche esperti marinai.
Molti storici ritengono però che la scoperta della Groenlandia ad opera del grande Erik il rosso eroe del nostro racconto fosse avvenuta perché le condizioni climatiche dell’epoca erano migliori rispetto a quelle di oggi. Ma come era possibile che delle semplici navi e dei rozzi guerrieri riuscissero in tali imprese?
Stando alla leggenda Vichinga del 1200, Leif Eriksson figlio di Erik il rosso intorno all’anno 1000 spiegò le vele e raggiunse le coste americane settentrionali con i suoi uomini, ma in realtà aveva avuto un predecessore.
La scoperta dell’America spettava ad un altro valoroso vichingo, ovvero Bjorn Herjulfsson.
Secondo la leggenda, il giovane dopo aver scoperto che suo padre non stava più in Islanda, ma era emigrato in Groenlandia con Erik il Rosso, decise di raggiungerlo, sebbene non avesse mai navigato nel mare di Groenlandia.
Infatti quell'estate venne mandato fuori rotta da improvvisi venti da nord e da svariati giorni di nebbia.
Poiché nessuno degli uomini del suo equipaggio era mai stato in Groenlandia prima di allora, essi dovettero cercare la rotta giusta. Quando infine tornò il sole, avvistò una terra che non poteva essere la Groenlandia, ma era collinosa e molto boscosa.
Dopo due giorni di navigazione avvistarono una costa piatta, che anche in questo caso non poteva essere la Groenlandia, che sapeva avere imponenti ghiacciai.
Dopo tre giorni di vento da sud-ovest giunsero in vista di un'isola con ghiacciai, ma inadatta agli uomini. Dopo quattro giorni di vento forte avvistarono finalmente la Groenlandia, dove si fermò da suo padre, abbandonando le razzie e lavorando invece in fattorie.
Egli riferì molti anni dopo della sua scoperta sia in Norvegia che in Groenlandia, dove Leif figlio di Erik si mostrò estremamente interessato al suo racconto e decise di intraprendere quel lungo viaggio.
La navigazione per tre giorni fu buona, poi una terribile tempesta venne da nord e solo dopo diversi giorni, quando tornò il sole Leif sospinto da un forte vento di nord-est e stimolato dalle descrizioni di Bjorn che prima di lui aveva attraversato quelle terre, raggiunse finalmente le coste americane.
Ancora secondo la leggenda, Leif mandò subito degli esploratori a controllare il vasto territorio quando uno di loro Tyrkir con immenso stupore riferì di aver trovato enormi campi di grano e vigneti. Inoltre i fiumi erano strapieni di salmoni, i più grandi che avessero mai visto in vita loro.
La durata della luce del giorno e il buio della notte non erano tanto diversi dalla durata della Groenlandia.
Prima di partire Leif volle dare un nome a quella terra e la chiamò Vinland, ovvero Terra del vino una bevanda locale a loro sconosciuta ma molto più buona di quella specie di birra che loro erano abituati a bere.
Successivamente fu condotta una seconda spedizione, questa volta fu il fratello di Leif a raggiungere le coste americane, ma al contrario di suo fratello, Thorvald si imbatté in nove indigeni e fu ucciso da una freccia, ma i suoi uomini riuscirono a caricare la nave di legname, uva e tutto ciò che vi era in quella terra e tornarono in Groenlandia.
La scoperta di questa nuova terra ricca di campi di grano, vigneti, di boschi ricchi di selvaggina e salmoni fu per i vichinghi una grande occasione e fu descritta con cura nella storia di Erik il rosso.
Quest’ultima riporta, infatti, anche il viaggio di Freydis, figlia di Erik il rosso, la quale partì con due navi per Vinland senza però alcun successo.
Si crede, infatti, che il fallito tentativo di colonizzare il Vinland sia avvenuto per il pessimo rapporto con le popolazioni dei nativi americani o dagli inverni particolarmente rigidi. Si può dunque credere che i vichinghi abbiano preceduto Colombo di quasi cinquecento anni?
Se realmente hanno raggiunto più volte le coste dell’America settentrionale, come hanno fatto ad orientarsi e attraversare tutto l’oceano con tanta sicurezza?
Le saghe possono essere ritenute delle fonti attendibili?
Stimando che il salmone è tipico delle acque fredde e che il grano e la vite selvatica crescono sino al 46° grado di latitudine, la famosa Vinland scoperta da Leif Eriksson potrebbe essere più o meno nei pressi di Boston o le coste canadesi?
Forse alcune risposte le ritroviamo nelle sensazionali scoperte avvenute sull’isola di Rolvsoy nei pressi del fiordo di Oslo nel 1867.
Anche se rinvenuta con parti mancanti e in parte danneggiata possiamo oggi farci un idea di come fossero le navi vichinghe che avevano terrorizzato le coste dell’intera Europa. Fatta di legno di quercia, misurava venti metri, ben costruita, anzi chiglia e paramezzale erano così perfetti da non lasciare alcun dubbio su come avessero affrontato i mari ghiacciati del nord.
Ma dopo pochi anni, nel 1880 gli archeologi fecero un’altra importante scoperta, sepolta sotto un spesso strato di argilla una seconda nave “Gokstad” venne alla luce questa volta completamente integra.
Tra lo stupore generale, la nave si presentava pressoché intatta, solida ed era stata elaborata con alta raffinatezza tecnica. Lunga 23 metri, larga 5 e profonda almeno 1,75, l’imbarcazione si presentava con sedici tavole formanti le fiancate, nove delle quali sotto il pelo dell’acqua.
Vimini connettevano le tavole con le costole e fili di lana incatramati provvedono al necessario calafataggio. Elegante ma molto robusta, tanto che si decise di ricostruirla per verificarne le effettive qualità in mare aperto.
La viking questo fu il nome che diedero alla nave ricostruita alla perfezione della Gokstad attraversò integra e senza problemi l’Atlantico ad una velocità di media di 9,9 nodi superando
Erik il rosso
di gran lunga una copia della Santa Maria di Colombo.
Un altro importante ritrovamento nel 1904 sorprese gli archeologi, una nave totalmente diversa dalla Gokstad fu scoperta nelle regioni di Slagen. Lunga due metri in meno ma larga quanto la Gokstad, la nave ugualmente elegante non era adatta all’oceano ma evidenziava comunque le ottime conoscenze nautiche del popolo vichingo. Infatti, essendo estremamente duttili, queste imbarcazioni permettevano di risalire i fiumi ed arrivare al cuore del territorio nemico con estrema facilità.
Dunque era possibile che i vichinghi fossero stati i primi a scoprire l’America?
Studiando a memoria le saghe e la topografia di Terranova scandagliando tutte le isole e le insenature cercando ovunque la prova che furono i vichinghi i primi a raggiungere le coste americane.
La sua ricerca si concentrò alla fine nella baia della penisola L’Anse aux Meadows, una baia identica a quella descritta dalle saghe con prati verdi e molta selvaggina nei boschi.
Nel 1962 molti archeologi e geologi si unirono e fecero una spedizione e i risultati furono raccolti in un libro scritto del dott Ingstad.
Furono ritrovate otto abitazioni, utensili di pietra, una rudimentale lampada, ma soprattutto le datazioni delle case fatte con il radiocarbonio C-14 confermarono la datazione intorno all’anno 1000 il tempo di Leif Eriksson.
Dunque sembrerebbe che i vichinghi abbiano scoperto davvero l’America 500 anni prima di Colombo?
Oppure quello non era il campo di Leif Eriksson?
Tra miti e leggende o verità, ciò che possiamo asserire con certezza è che i vichinghi ebbero una parte importante nel vecchio continente soprattutto nei commerci; anche se il loro spirito guerriero inizialmente terrorizzò interi popoli, esso alla fine cessò di esistere lasciando campo libero alle esplorazioni e al coraggio.