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URONI E IROCHESI
Nei territori del nord America precisamente nei territori Canadesi sotto dominio Francese, e della Pennsilvanya due tribù si sfidano da centinaia di anni cercando di prevalere una sull’altra: la tribù  degli  Irochesi, retta da un Consiglio di dodici anziani e votata allo studio delle erbe medicinali, che loro definivano magiche ,oltre che alle arti della guerra.
E la tribù degli Uroni, comandati da un grande capo  che  da sempre hanno dato impulso allo sviluppo delle arti magiche, e grazie all’aiuto dei Francesi, allo  sviluppo di nuove armi ,e nuovi marchingegni per la guerra, e grande stratega.
Dopo un susseguirsi di guerre che hanno quasi distrutto completamente le tribù.
Irochesi e Uroni  vivono un periodo di convivenza apparentemente pacifica.
Le tensioni si concentrano sul controllo delle risorse e delle fonti di energia e sfociano in piccoli scontri in ambiti molto ristretti che si limitano al controllo della pista che porta hai grande laghi  Erie, ed Ontario  che corre lungo i confini con i territori del grande  nord.
L'ago della bilancia sembra tuttavia pendere verso gli Uroni, grazie alle armi rivoluzionarie di incredibile potenza che i Francesi insegnano loro ad  usare e capaci di annullare gli avversari .
Un eterogeneo gruppo di eroi Irochesi  cercherà con ogni mezzo di ribaltare la situazione a favore della  propria tribù, trovandosi anche ad affrontare i pericoli derivanti dalla riscoperta delle arti oscure.
Il sole era appena tramontato mettendo fine alla loro corsa.
Si accamparono in una radura ai margini di un  bosco di Ontani, appena oltre il confine tra fiumi Venago e Leboeuf. Accesero il fuoco e cominciarono a preparare qualche cosa da mettere sotto hai denti.
Cercarono di sbrigarsi il più possibile, facendo finta di ignorare la stanchezza derivante dal giorno di viaggio che si erano appena lasciati alle spalle. L’alba li avrebbe costretti a ripartire e le ore di sonno sembravano sempre inferiori a quelle necessarie per rimettersi in forza.
“Ancora un paio di giorni di viaggio con questo ritmo e saremo arrivati” commentò Aquila bianca  raggiungendo il gruppo. Aveva sistemato i pony  legandoli a un albero per poi strigliarli come meglio poteva. “Sempre che non finiamo per perdere le nostre cavalcature a causa della stanchezza” concluse.
“Tu parli un po’ troppo con gli animali” rispose Witehorse mentre controllava il grado di cottura della carne. “Ammetto che questo ci ha dato degli enormi vantaggi nel corso del viaggio” si affrettò ad aggiungere prima di rischiare di offendere il compagno molto più saggio ed esperto di lui. “Ma ciò non toglie che sia una cosa veramente strana.”
“Forse oggi lo è davvero” intervenne Piccolo Cervo. “Ma un tempo non era così. Per molti del nostro popolo quel dono non era nulla di speciale.”
“Perché gli spiriti delle foreste  sono più strani degli uomini” tagliò corto Aquila bianca. “E poi vi lamentate se noi Irochesi cerchiamo di starcene il più possibile per conto nostro.” Prese un pezzo di carne dal fuoco e cominciò a mangiare la sua parte di cena senza attendere che gli altri si unissero a lui.
“A volte ho il dubbio che a forza di stare rinchiusi nelle vostre tende voi vi mettiate a parlare con le pietre” lo schernì Witehorse. “Perché lui non dovrebbe parlare con gli animali?”
Aquila bianca  rispose con un verso roco e mosse la mano come se volesse scacciare una mosca fastidiosa. “Spiegami allora cosa hai detto a questa lepre prima di infilzarla con una freccia” chiese indicando la carne che stava cuocendo sul fuoco.
“Le ho detto la verità” commentò Piccolo Cervo. “Le ho spiegato che non c’era nulla di personale.”
Il guerriero alzò le braccia al cielo in un gesto di impotenza. Gli altri due compagni  si scambiarono un sorriso divertito.
“Avere un guerriero della sua esperienza nel proprio gruppo può essere molto comodo” commentò una voce proveniente dal limitare della radura.
I guerrieri  scattarono immediatamente in piedi estraendo le armi e volgendole verso la figura che stava emergendo dal buio della foresta.
“Abbassate quegli arnesi” continuò il nuovo arrivato fermandosi in una zona illuminata e permettendo ai membri del gruppo di scorgerlo in viso. “A meno che non consideriate un uomo avanti negli anni come un pericolo mortale.”
“Chiunque giri in una foresta, da solo e senza cavallo, può essere un pericolo mortale” commentò Witehorse.
“No” si intromise Aquila Bianca avanzando di un passo con fare minaccioso. “
È un pericolo, non può essere
.”
“Sentiamo cosa vuole da noi” propose Piccolo Cervo. 
Che nonostante la cautela dei suoi compagni non riusciva a considerare il vecchio come una fonte di guai. Non sapeva da dove gli venisse quella convinzione, forse dalla figura tutt’altro che minacciosa dell’uomo, forse dalla fierezza del suo sguardo. Gettò un’occhiata ai vestiti trasandati, alla barba scarmigliata, al bastone da viaggio e alla sacca di Daino  che aveva in spalla.
Concluse di avere di fronte un viandante avvezzo a trascorrere molto tempo per le foreste, un uomo non più giovane ma ben fornito di forza e determinazione.
“Sei il solito tenero di cuore” commentò Aquila Bianca. “Tutti i vecchi sono teneri di cuore. A forza di cantare e danzare senza combattere  non potevate che diventarlo.”
“Come si diventa a coltivare i campi  giorno dopo giorno?” ribatte  Piccolo Cervo”.
“Il fatto che noi siamo tre e lui uno non ti deve far abbassare le difese” si intromise Witehorse.
“Ascoltate quello che dice il vostro amico” convenne il vecchio. “tre  contro uno non è una sicurezza di vittoria, soprattutto se l’uno è un mago.”
“Non amo i maghi” sentenziò il guerriero  con disprezzo. “Trovo già difficile fare un viaggio con un uno spirito, un pony pazzo e uno stregone. Figuriamoci un mago!”
A quelle parole i compagni si scambiarono occhiate cupe e veloci. Il ricordo di ciò che avevano vissuto solo pochi giorni prima era ancora impresso nelle loro menti. Se il loro Sciamano  fosse stato ancora con loro non avrebbero certo temuto uno scontro con un mago.
“Purtroppo, o per fortuna, io non sono avvezzo alla magia” proseguì il vecchio “se no non mi sarei fatto sorprendere dalla notte in mezzo a una foresta e adesso me ne starei al calduccio in una tenda  a mangiare un pasto decente.”
Nessuno dei presenti disse nulla. Non sapevano se restare sulla difensiva o accogliere il viandante.
 Che all’apparenza pareva innocuo, ma nessuno voleva prendersi la responsabilità della decisione. Sembravano tutti in attesa che qualcosa decidesse per loro. “Cosa dicono gli animali?” chiese Witehorse  avvicinandosi all’orecchio del suo pony per evitare di essere sentito.
“La foresta tace” rispose Piccolo Cervo. “È strano, ma è anche vero che non c’è ansia nell’aria.” Sapeva benissimo che la notizia dell’avvicinarsi di un pericolo veniva trasmessa dagli animali e dalle piante con velocità inimmaginabile per un uomo. L’istinto li avrebbe portati lontano, verso la salvezza. Bastava saper interpretare quei segni per mettersi subito in allerta.
 Ma tra gli alberi non c’era ombra di preoccupazione.
“Non hai ancora chiarito cosa vuoi” sentenziò Aquila Bianca  rivolgendosi al nuovo arrivato.
“Hai ragione” ammise il vecchio. “Ma prima vi dico chi sono. Mi chiamo Cavallo Pazzo e sono un viandante.” Si avvicinò ai membri del gruppo allargando le braccia come per dimostrare che non costituiva un pericolo per loro.
“Un antico gesto di ospitalità” commentò Witehorse allargando anch’egli le braccia. “Non pensavo che qualcuno lo conoscesse ancora.”
“Non sai come dice un proverbio? L’uomo fa il mestiere e il mestiere fa l’uomo” rispose. “Passo da un villaggio  all’altro e racconto la storia dei nostri padri. E anche quella degli Irochesi, ovviamente. Riporto in vita vecchi racconti e antichi gesti. Mi guadagno un pasto caldo in questo modo”
Ad Aquila Bianca  non sfuggì lo sguardo che il vecchio aveva rivolto alla carne messa ad abbrustolire sul fuoco. “Qualcosa mi dice che stai pensando di propinare anche a noi qualche storia, non è vero?”
“Solo se lo desiderate” gli rispose Cavallo Pazzo. “Diciamo che potrebbe essere un buon modo per sdebitarmi dell’accoglienza e della protezione che vorrete darmi per questa notte.”
“Protezione?” chiese  Piccolo Cervo.
“Certamente” ammiccò il vecchio. “Di notte si fanno strani incontri, soprattutto nelle foreste.”
“Da dove è cominciata la lotta tra Irochesi e Uroni?” chiese Piccolo Cervo. L’occhiata che scambiò con Aquila Bianca fu più che sufficiente a far capire ai compagni di viaggio il vero motivo di quella domanda. Non era una questione di accondiscendenza verso l’ospite o di desiderio di sentir raccontare le sue storie, probabilmente mezze inventate, sul passato delle due tribù. Voleva semplicemente evitare che fosse Cavallo Pazzo a fare domande sul loro viaggio e soprattutto sulle motivazioni che li avevano spinti a percorrere le piste in tutta fretta accampandosi in mezzo alla foresta.
“Tutto è cominciato tante lune fa ” cominciò il vecchio. “Vi racconterò questa storia, ma prima voglio che abbiate chiara una cosa. Non so chi siano i buoni e chi i cattivi, dove stia la ragione e dove il torto. Come in tutte le guerre che si trascinano per lungo tempo, probabilmente non ci sono più né ragioni né torti. C’è solo la guerra.
Io non posso giudicare: racconto e basta.”
Witehorse  si domandò quante altre volte l’uomo avesse cominciato in quel modo la sua narrazione. Un preambolo molto utile, d’altronde: gli dava la possibilità di raccontare le stesse cose, con le dovute sfumature di differenza, sia nel regno degli Irochsi  che in quello degli Uroni.
Cavallo Pazzo fece passare lo sguardo da uno all’altro dei membri del suo uditorio come per essere sicuro che avessero compreso le sue parole. Poi li riportò indietro nel tempo.
“sono passate tante cacce al Bisonte  da quando la tribù degli irochesi era comandata da un grande capo che per tutti i gli irochesi  era considerato un Dio in terra .
Molti si stupiscono di questo: sono talmente abituati  hai consigli degli anziani,  da pensare che sia sempre stata questa la forma di governo della tribù. No, una volta sia Irochesi  che Uroni  avevano un sovrano. Manto Nero degli Irochesi era però molto diverso dai suoi predecessori.
Era uno di quelli che potremmo definire un grande condottiero illuminato. Aveva stravolto le tradizioni creando un nuovo organo di governo  che lo affiancava nelle decisioni. Ben inteso, a scegliere era sempre lui, ma era convinto che sentire il parere dei più anziani rappresentanti del popolo fosse produttivo.
Al contempo voleva favorire lo sviluppo dell’economia interna attraverso il fiorire dei mestieri. Mise assieme queste due idee e creò il Consiglio degli anziani.
A quei tempi era un organo molto diverso da come lo conosciamo oggi: era costituito da soli dodici membri, ognuno dei quali eletto da uno dei  capi  presenti nel  territorio. Anziani guerrieri vecchi saggi Stregoni tutti facevano parte di una corporazione nella quale trovavano conforto e aiuto nei momenti di difficoltà. E ogni campo poteva portare i problemi dei suoi membri direttamente all’attenzione del grande capo .
Non voleva certo dire che ogni desiderio venisse automaticamente esaudito, ma il solo parlarne era già un buon risultato. Diminuiva la distanza tra il grande capo  e il popolo Irochesi.
Il grande capo  manteneva i suoi consiglieri, quasi tutti provenienti da famiglie di capi , ma poteva sentire due campane prima di prendere le decisioni. Ma molti del consiglio degli anziani  non erano per nulla felici di quel vento di novità e alcuni criticavano la presunta debolezza
Che il grande capo  dimostrata nel coinvolgere il popolo nelle decisioni. Lui rispondeva che se si vive in prosperità è più difficile veder sorgere delle contese. E poi li faceva giustiziare.”
“Molto democratico!” sbottò Aquila Bianca.
“Era pur sempre il grande capo” commentò il viandante. “E non è saggio  mettere in discussione la sua volontà. Se affili troppo la lama”
“rischi di perdere la testa dice il proverbio” concluse Piccolo Cervo.
“In prosperità, senza ostilità” aggiunse Witehorse.
“Esatto” convenne il vecchio. “Il detto ha origine proprio dal pensiero del grande capo degli Irochesi. Ma lasciamo per un momento gli abitanti della nazione Irokesi  e spostiamoci a quella degli Uroni. Il  loro capo  era morto lasciando due figli. Nonostante il diritto di successione spettasse al primogenito Magua, Sakem, il fratello minore accampò molte pretese dopo la morte del padre. Mise in dubbio le capacità di governo del  fratello  e trovò l’appoggio del capo Irochesi,  per cercare di detronizzare il fratello.
 Le tensioni tra questi centri di potere lacerarono il regno: da una parte l’esercito e di Magua , dall’altra Sakem , appoggiato dagli Irochesi e dai suoi soldati.  Così divisi in due fazioni , la guerra civile scoppiò quanto mai sanguinosa. Il grande capo degli Irochesi non stette a guardare e cercò di approfittare di questo momento di debolezza dei vicini.                                                                    Gli eserciti di Irochesi  invasero le terre degli Uroni  sicuri di non trovare resistenza.
Ma l’invasione generò un risultato inaspettato: vedendosi attaccare da un nemico comune, i due fratelli sospesero le contese e si coalizzarono per impedire il tracollo del regno e la sua sottomissione al territorio degli Irochesi. Riuscirono a ricacciare l’esercito invasore fuori dai confini e a ritrovare l’unità perduta. Da questa vittoria il grande capo  Magua ottenne risultati che andavano ben al di là delle sue più rosee aspettative. Per prima cosa aveva vinto la guerra e questo era già di per sé un successo. Purtroppo, durante una battaglia, suo fratello Sakem era stato malauguratamente e inaspettatamente colpito da una freccia ed era morto mettendo così fine alla contesa per il trono. I nobili si riunirono attorno a Magua, indiscusso detentore del potere nel regno. Gli stregoni non poterono far altro che prendere atto della situazione venutasi a creare e corse immediatamente a benedire il legittimo regnante.
Ma la vittoria ottenuta non garantiva certo a Magua che nuove tensioni percorressero gli uroni indebolendo io popolo  dall’interno. Si sforzò di individuare un collante che tenesse assieme tutte le componenti delle varie tribù  e lo trovò nell’odio per gli Irochesi. Erano stati i vicini ad attaccarli quando gli Uroni  era in difficoltà.
Poco importava che lui avrebbe fatto lo stesso se gli si fosse presentata l’occasione.
 Gli Irochesi  avevano colpito per primi. Morte agli Irochesi.”
“Politica” sbuffò Witehorse. “Una guerra solo per politica.”
“E per appropriarsi della ricchezza altrui” aggiunse il Aquila bianca. “Come tutte le guerre, d’altronde.”
“Il risultato fu l’inizio di una serie di incursioni degli Uroni nel territorio degli Irochesi, a cui seguì la reazione dei vicini. E così via per decine e decine di anni, in quella che viene definita la guerra infinita.”
Il vecchio fece una pausa e sorseggiò un po’ di acqua da una ciotola che gli era stata appena riempita. Attese in silenzio prima i continuare, come per vedere se qualcuno volesse rivolgergli una domanda. Nessuno parlò.
Piccolo Cervo ascoltava il racconto con grande interesse. E Aquila Bianca avrebbe sicuramente tratto molte canzoni dalle storie che l’uomo stava raccontando.
 In parte conosceva quei fatti, li aveva già sentiti e ne aveva cantato lui stesso. Ma le sue conoscenze venivano arricchite di tanti particolari e risvolti che non potevano che catalizzare la sua attenzione sulle parole del viandante.
Witehorse  invece aveva un atteggiamento diametralmente opposto. Dall’inizio del racconto si era tenuto in disparte e non aveva proferito parola. Guardava il vecchio con sospetto e sembrava scrutarlo alla ricerca di un segno di ostilità, per quanto piccolo potesse essere. Piccolo Cervo , che teneva d’occhio l’amico mentre ascoltava Cavallo Pazzo , non si sarebbe meravigliato di vederlo scattare in piedi all’improvviso gettandosi addosso all’anziano uomo.
Seppure non condividesse l’atteggiamento di aperta ostilità del compagno, anche lui mostrava prudenza nei confronti del viandante. Quando aveva confermato che la foresta non restituiva segnali di pericolo, il guerriero  aveva dato il via libera all’accoglienza dell’uomo.
Tuttavia non era ancora riuscito a togliersi di dosso il peso di quel silenzio inaspettato che aveva invaso la radura con la comparsa dell’uomo. Era come se una cappa fosse scesa su di loro impedendo di sentire ciò che succedeva al di fuori. Una specie di dimensione di sogno, molto simile a quella che riusciva a creare uno sciamano  quando suonava il proprio strumento.
“Volete che continui?” si informò Cavallo Pazzo. “Non vorrei che vi sentiste troppo cresciuti per ascoltare le storie di un vecchio. Magari le vedete alla stregua delle cantilene  che si raccontano ai bambini per farli addormentare.”
“Una storia è una storia” sentenziò Aquila Bianca. “Non è mai solo verità o invenzione. Quindi, la tua, non può che essere
alla stregua
di tutte le altre.”
“Dimostri tutta la concreta saggezza del tuo popolo” rispose Cavallo Pazzo  ridacchiando. “È vero: una storia è una storia. E a volte, mentre la si racconta, si compiono passi da gigante, lasciandosi alle spalle decine e decine di anni in un solo respiro.”
Gettò un bastoncino di legno nel fuoco e cominciò nuovamente a raccontare.
“La faida vera e propria durò quasi cinquant’anni. Poi sia Uroni  che Irochesi constatarono che non c’era più niente da distruggere o da annettere e che la conta dei morti pareva non finire mai. E la faida cessò così come era cominciata. Al suo posto rimase soltanto l’odio.”
“Uno scambio vantaggioso” commentò con ironia Witehorse.
“Qualche risvolto positivo in effetti ci fu” continuò Cavallo Pazzo.
 “Durante tutta la durata della faida gli Uroni  avevano  dato forte impulso alla scienza. Ingegneri, architetti e chimici si erano dedicati allo studio e alla realizzazione di armi e strumenti di distruzione da utilizzare contro gli Irochesi. Terminati gli scontri poterono dedicare il loro tempo all’applicazione dei risultati alla vita di tutti i giorni. Cominciò così un periodo di forte crescita del popolo Urone, in cui gli studiosi divennero sempre più richiesti , di conseguenza anche i Francesi  che usarono gli Uroni come guide nelle loro scorribande per colpire gli Inglesi, diventavano sempre più potenti. La svolta ci fu dopo una decina di anni. Il grande capo Magua, salito al trono dopo la morte del padre, prese una decisione che segnò per lungo tempo la vita del regno. Avocò a sé le principali cariche: quella politica di governante, quella di Primo Architetto, il vertice nel campo delle scienze, quella religiosa come grande stregone del popolo Urone.
Vedeva infatti crescere sempre più l’importanza di centri di potere al di fuori del proprio territorio  e non voleva correre il rischio di ritrovarsi a fronteggiare una divisione interna come ai tempi delle guerre contro il fratello. L’odio per gli Irochesi  era ancora vivo tra la popolazione, ma gli uomini si abituano troppo in fretta alla pace e Magua voleva stare con le spalle coperte. C’era inoltre un altro aspetto da non sottovalutare.
 Magua aveva dato il via libera allo studio sulle fonti di energia legate alla natura. Sotto questa definizione era celata la possibilità di sottrarre forza vitale agli esseri viventi, piante o animali che fossero, per alimentare il funzionamento dei congegni prodotti dagli ingegneri. Gli  stregoni  insorsero  definendo questa possibilità un’aberrazione.
Ma  vennero  messi a tacere dal pugno duro del capo Magua.”
“Sei passato
veramente
a raccontarci delle fiabe, vecchio” sentenziò Aquila Bianca. “E ti aspetti che ti crediamo?”
“Un narratore fa di tutto perché il suo pubblico lo ascolti” rispose pacato Witehorse.
“Da qui a sperare che credano a ciò che dici…”
“Non mi vorrai raccontare che mettevano i ghiri  o gli scoiattoli dentro una ruota e gli facevano muovere marchingegni strani” lo canzonò Penna Bianca.
“Se ho capito bene ” si intromise il Witehorse “le cose non funzionavano proprio così. Ma mi viene un dubbio. Togliere energia dagli animali e dalle piante. E perché non fare lo stesso dagli uomini?”
“Sei perspicace” lo lodò il vecchio indiano. “Fu questa la principale causa dell’opposizione degli stregoni. E della repressione che il capo Magua operò su di essa.”
“Che oscenità!” commentò Aquila Bianca. Per uno sciamano la possibilità di sottrarre forza alla natura non poteva che essere considerata un orrore inaudito.
“Ma la sua preoccupazione crebbe quando si accorse che questa decisione aveva finito per mettere molto potere nelle mani degli sciamani della tribù. E fu allora che cercò di accentrare nel trono il controllo sia degli stregoni  che dei geni .”
“gli stregoni saranno stati molto contenti di questa decisione” intervenne Penna Bianca.
“In quel periodo  avevano  anche un’altra bella gatta da pelare” continuò il vecchio indiano. “nel popolo Irochesi un gruppo di stregoni  aveva ripreso lo studio di una pratica bandita da centinaia di anni: la magia nera.”
“Ah, ah, ah!” Le risate di Aquila Bianca  sembrarono riempire la radura delimitata dagli alberi.
 “Prima quell’assurda storia sui criceti e adesso i morti che tornano in vita! Quando comincerai a parlarci dei fantasmi? Tanto per provare a spaventarci un po’!”
“Lascialo continuare” commentò Witehorse. “Che sia vero o pieno di esagerazioni, il suo racconto è certamente un buon diversivo rispetto alla semplice attesa del sonno.”
“Almeno ci evitiamo la tua solita strimpellata notturna, con quelle canzoni smidollate e mielose” ribattè Aquila Bianca.
“Continua, vecchio” lo esortò Witehorse. “Cosa successe dopo?”
“Cavallo Pazzo non si fece sfuggire l’occasione” proseguì il viandante. “Grazie agli sviluppi delle nuove scoperte,
 grazie alle forze che riuscirono a mettere in campo e grazie soprattutto alla decisione delgrande capo di favorire l’applicazione delle scoperte scientifiche agli armamenti, quando l’esercito si mosse contro gli Irochesi  riuscì a sbaragliare ogni difesa del nemico. I difensori avevano ben poco da opporre alle armi tecnologicamente avanzate di Magua e anche quando riuscivano a entrare in possesso di alcune di esse non erano in grado di farle funzionare.”
I compagni si scambiarono veloci occhiate interrogative. Il ricordo dello scontro avvenuto solo un paio di giorni prima era ancora ben vivido nelle loro menti. “Dicci qualcosa di più su questa armi” lo incitò Piccolo Cervo.
 “Erano strumenti letali” rispose il vecchio “in grado di lanciare raggi di energia. Distruggono, incendiano, fanno esplodere. Diedero agli uroni  un vantaggio incolmabile. I gli stregoni irochesi  cercarono di innalzare scudi a protezione delle truppe, ma non ressero a lungo lo sforzo. Il risultato di questa lotta impari era prevedibile. Gli eserciti uroni  riuscirono a raggiungere il cuore del regno e addirittura a uccidere il capo irochesi.”
“Io conosco la storia in una versione un po’ diversa” si intromise Piccolo Cervo.
“È solo perché non devi fare i conti con la fantasia del narratore” commentò Aquila Bianca caustico.
“Il capo irochesi  venne ferito” continuò Piccolo Cervo “ma il giorno dopo si riprese e guidò il proprio esercito al contrattacco riuscendo a sbaragliare i guerrieri uroni.”
“Quella fu la versione ufficiale diffusa tra il popolo” ribattè Cavallo Pazzo. “La realtà fu ben diversa. Il capo irochesi era stato ucciso e né i più alti dignitari né i rappresentanti del cosiglio degli anziani  sapevano cosa fare. Il regno si trovò inaspettatamente senza una guida e con i nemici praticamente dentro casa. Il destino degli irochesi  sembrava segnato e tutti caddero nel pieno sconforto. Nessuno sapeva come muoversi. Nessuno, tranne i gli stregoni che praticavano la magia nera.
Secondo loro una soluzione c’era ed era evidente. Avrebbero potuto riportare in vita il grande capo. Tutti si opposero, ma nessuno seppe fornire alternative plausibili.”
“Che grande utilità!” lo sbeffeggiò Aquila Bianca. “Anche ammettendo che tu non ci stia raccontando delle fandonie, mi devi spiegare cosa potevano farsene di un capo fantoccio che cammina senza nessuna volontà! Potevano mostrarlo al popolo, ma non ne avrebbero tratto un gran giovamento. Non so se sia meglio avere un pupazzo di carne al posto del capo o non averlo affatto.”
“La tua è una giusta obiezione” spiegò il vecchio con pacatezza. “I primi risultati che ottennero gli stregoni  non furono incoraggianti. I cadaveri ricominciavano a muoversi, ma da qui a dire che erano stati fatti tornare in vita c’era un abisso. Doveva essere sempre presente uno di loro per comandare un cadavere attraverso la telepatia. I morti finivano per ridursi a semplici bambole di carne che richiedevano la presenza di un burattinaio per muoversi. Ma gli stregoni neri  continuarono i loro studi e riuscirono a trovare il metodo per ridare veramente la vita e la ragione ai cadaveri. Dapprima fecero in modo che il cadavere mantenesse il ricordo della sua vita precedente. L’inconveniente era che in tal modo ricordavano anche la propria morte e impazzivano dopo poco. Poi trovarono il modo per superare anche questo inconveniente cancellando i ricordi delle ultime ore di vita. Chiamarono questo procedimento rinascita. E il primo a rinascere fu Re della nazione irochesi.”
“Nonostante sia avvezzo alle storie” disse Piccolo Cervo “stento a credere alle tue parole. Un uomo che torna in vita come se nulla fosse. Riesce a ragionare, a muoversi, a parlare come prima. Sa chi è ma non come è morto. E può morire di nuovo? Ha bisogno di nutrirsi e di dormire? O è diventato una specie di immortale? E se si ricorda ciò che ha visto nell’altro mondo? Diviene una specie di dio che cammina in terra?”
“Comprendo tutte queste domande. La magia nera  è difficile da accettare perché sovverte il modo in cui vediamo il mondo e il corso della vita. Intendo non solo la nostra vita, ma quella di tutti. Se si spezza il cerchio di nascita e morte, cosa può succedere? Se il numero dei rinati rimane contenuto si rischia di dover consegnare nelle loro mani il destino del mondo. Ma se venissero riportati in vita tutti i morti indistintamente? C’è il rischio che il nostro mondo collassi.”
“Seguiamo il corso di ciò che ci hai raccontato” disse Witehorse. “La religione irochsi  non poteva certo essere favorevole alla magia nera. Avrebbe potuto utilizzare questo argomento per fare pressioni sul trono affinché venisse dichiarata guerra agli uroni. Ma d’altro canto il suo capo aveva dato avvio alle ricerche sulla sfruttamento della forza naturale. Chi è peggio dei due?”
“Tutti e due i regni, ognuno in modo diverso dall’altro, stavano oltrepassando i confini di ciò che sino ad allora era considerato lecito e moralmente accettabile. E l’avevano fatto per avventurarsi su sentieri che la religione pellerossa definiva oscuri. Ma la ricerca del potere non percorre quasi mai sentieri di luce.”
“gli stregoni neri  riportarono il grande capo irochesi  in vita” disse Witehorse  per far ritrovare al vecchio il filo del discorso.
“Fecero di più. Aprirono un punto di contatto con il regno dei morti, quello che chiamavano Confine delle Anime, e attinsero da esso la forza necessaria a riportare indietro il capo . Ma non si fermarono lì: utilizzarono le forze che avevano liberato per sbaragliare la potenza dell’esercito nemico. Le guarnigioni uroni  furono spazzate via e i soldati dovettero affrettarsi a rientrare nel proprio regno prima di venir decimati. Gli irochesi  aveva vinto. Ma a quale prezzo? I rappresentanti degli anziani  insorsero contro quella dei maghi. I negromanti aderivano a quel gruppo e ottenevano supporto dagli altri membri della corporazione. La corporazione degli stregoni neri  rischiava di trovarsi nell’occhio del ciclone e di dover difendersi in quella che non poteva che degenerare in una guerra civile.
La loro decisione fu saggia ma molto combattuta. La magia nera  fu bandita e i suoi praticanti uccisi sistematicamente.”
“Viva la democratica irochesi !” proruppe Aquila Bianca.
“E il grande capo?” chiese Witehorse  fingendo di non aver sentito il commento del compagno.
“La verità? Il grande capo  scomparve” spiegò il viandante. “Qualcuno dice che il suo corpo venne distrutto quando i confini del mondo dei morti furono nuovamente sigillati. Altri sostengono che la sua rinascita non andò completamente a buon fine e che durò solo poche ore. Altri ancora dicono che queste sono soltanto storie che si raccontano ai bambini” aggiunse guardando alla volta di Piccolo Cervo.
 “Ai bambini o agli stupidi” ribattè quest’ultimo.
“E poi cosa successe?” chiese ancora Piccolo Cervo.
“Si tennero i funerali di stato, una scena teatrale a uso e consumo del popolo. Poi si aprì un periodo di grande cambiamento. Sia uroni che irochesi dovettero fare i conti con i propri problemi interni e non ebbero né tempo né forza per ricominciare la lotta l’uno contro l’altro. Il capo degli  uroni  riuscì a riconquistare la propria autonomia e a ristabilire il rapporto di parità . ma dovette rinuncia al titolo di Capo degli stregoni , ma mantenne  il controllo degli scienziati. Gli esperimenti per lo sfruttamento delle forze naturali vennero accantonati su pressione degli stregoni.”
“E gli irochesi?” si informò il Witeorse.
“Anche in quel regno si aprì una stagione di cambiamenti molto più profondi rispetto a quelli degli uroni. Il grande capo  era morto e non aveva lasciato eredi. Si scatenò una immancabile lotta per accaparrarsi il trono. Il maggiore pretendente era un cugino di sangue del defunto .
 Ma gli anziani si unirono e riuscirono a contrastare la sua ascesa al trono. I membri dell’aristocrazia cercarono di impedire questo processo, ma vennero travolti dalla voglia di cambiamento che si respirava nella nazione irochesi accantonarono la monarchia e scelsero  la difficile via del consiglio degli anziani e dei capi praticamente una repubblica.
 Si aprì un periodo di transizione in cui il popolo irochesi venne governato dai rappresentanti degli anziani, raccolti in un Consiglio. I dodici membri elessero un capo e diedero il via a quella che viene ricordata come l’Epoca delle decisioni condivise.”
“Questo è vero” confermò Witehorse. “Mia nonna, che allora era una fanciulla, aveva sentito parlare di questo cambiamento dai suoi genitori.”
“Almeno su qualcosa siamo d’accordo” rispose il vecchio. “il popolo irochesi  raggiunse la stabilità che gli consentì di  dare il via alla ricostruzione. Ogni abitante del regno contribuì alla nascita dell’embrione della società che conosciamo oggi. Tuttavia quell’epoca non durò molto. La sua fine non fu il frutto di errori o di incursioni esterne. Nulla di tutto questo.
 Finì semplicemente perché gli anziani  esaurirono il loro compito. La società degli irochesi  era lentamente mutata. Erano finiti i tempi in cui ogni abitante faceva parte di una tribù, in cui le città erano suddivise in quartieri affidati ad un gruppo di anziani  diversi, in cui i mestieri passavano da padre in figlio. Il Consiglio rischiava di diventare il centro di un potere oligarchico e ristretto. Il governo di pochi al posto del governo di uno. Gli anziani  decisero di farsi da parte e di indire le prime elezioni democratiche. E così cominciò il periodo che stiamo vivendo, l’Epoca del Consiglio.”
“Ancora oggi i principali villaggi del regno sono divisi  in quartieri specializzati in questa o quell’attività” fece notare Piccolo Cervo.
“È una eredità di quei tempi” rispose il vecchio. “Alcuni villaggi, visti dall’alto, sembrano divisi in tanti spicchi. La città  del grande consiglio irochesi , ad esempio, mantiene ancora la forma di una torta, racchiusa da una palizzata  circolare e tagliata in dodici fette.”
“ una torta?” commentò Aquila Bianca. “Per gli uroni  sarà sicuramente così! Un dolce da mangiare in un solo boccone!”
“Se è vero che hanno trovato un mezzo per annullare la magia, li vedremo presto banchettare con tutte le torte che vogliono” disse Witehorse   prima di incontrare lo sguardo torvo del compagno. Subito dopo si zittì, capendo che non era il caso di affrontare quell’argomento in modo così aperto. Avevano giurato di non parlare con nessuno della loro ultima avventura, prima di aver riferito l’accaduto al Consiglio. E anche dopo, se fosse stato necessario.
“Annullare la magia?” domandò Cavallo Pazzo. “Adesso siete voi a raccontare le fiabe!”
La voce di Aquila Bianca  fu preceduta dall’eco delle sue risate. “era  talmente abituato a vivere in mezzo alle storie da non distinguere più verità e fantasia!”
“Mi sembra l’ennesima storia fantastica che si racconta sugli  uroni”“Il fuoco è ormai spento” osservò Aquila Biancan avvicinandosi ai compagni come a voler mettere fine a quel pericoloso discorso. “Bisognerebbe avere le lampade degli uroni  quelle che si dice facciano luce senza bruciare. Peccato non garantiscano anche un po’ di calore.”
“È strano però” notò il viandante. “Dubitate delle mie storie, ma siete disposti a credere che gli uroni  abbiano delle meraviglie come quelle di cui parlate.”
“A forza di starti a sentire ci stiamo abituando a credere alle favole” commentò Piccolo Cervo.
“Ci hai detto tante cose” osservò Witehorse  rivolto al vecchio . “Ma non ci hai ancora svelato se sei urone o  irochesi.”
“I viandanti appartengono alla strada” rispose Cavallo Pazzo. “Soprattutto quelli che mangiano la polvere da più tempo.”
“Ma dovrai pure aver una cittadinanza” insistette l’uomo.
“Sono nato irochesi , se questo può avere una qualche importanza. Ma il mio viaggio mi porta lontano e, come ogni nuovo giorno, anche oggi è venuto il momento di continuarlo.” Alzò lo sguardo verso il sole che stava nascendo a est.
“È già mattino?” chiese con stupore Aquila Bianca. “La notte non può essere passata in così breve tempo!”
“Non è possibile!” gli fece eco Witehorse. “Sono fresco e riposato. Non posso aver passato tutta la notte sveglio!”
“Eppure quella è l’alba” rispose il vecchio. “Ma fossi in voi non me ne preoccuperei troppo. Quando si ascoltano le vecchie storie capita spesso di non riuscir più a tenere il conto del tempo che passa, soprattutto quando in una notte si devono condensare centinaia di anni.”
“Che specie di mago sei?” lo interrogò Witehorse  con aria minacciosa.
“Nessuna specie!” ribattè ridacchiando. “Non sono un mago, l’ho già detto. Sono uno che si guadagna da vivere raccontando storie. Chiedi al tuo amico  se non capita anche a lui di mettersi a suonare e di svegliarsi come da un sogno dopo ore e ore.” Cavallo Pazzo  sorrise alla volta di Piccolo Cervo, ma non aspettò di ricevere risposta.
“È stato un piacere poter contare sulla vostra compagnia” si congedò. “E vi ringrazio per il pasto che mi avete offerto. Non so se ci saranno altre occasioni per incontrarci. Se dovesse succedere sappiate che mi sono rimaste molte storie da raccontarvi.” Il vecchio fece un ultimo segno di saluto e si allontanò dal gruppo. Alle sue spalle i quattro uomini cominciarono a ritirare le loro cose preparandosi a proseguire il viaggio.
“L’alba è arrivata prima di quanto pensassi” commentò il vecchio tra sé e sé mentre imboccava un sentiero che lo avrebbe condotto a nord. “Mi piace raccontare dei vecchi tempi, forse perché sono ancora legato a quel mondo che adesso non c’è più. Appena li ho incontrati ho allargato le braccia nell’antico gesto di saluto. Peccato sia caduto in disuso da quasi cinquant’anni, dal malaugurato giorno in cui le truppe uroni  mi uccisero e quegli scriteriati degli stregoni  decisero di provare a riportarmi in vita. Be’, non li biasimo di certo. Avevano bisogno di una guida e si sentivano persi. Ma questo è uno dei pesi che la vita mette sulle spalle degli uomini. Ognuno deve essere in grado di andare avanti con le proprie forze. Un po’ come faccio adesso, passo dopo passo, portandomi dietro il fardello di conoscere cosa ci sarà dopo la morte. È strano che non sia impazzito. Eppure ricordo tutto. I negromanti non sono riusciti a togliermi la memoria di quegli ultimi istanti. Ogni tanto, in sogno, mi sento ancora rivivere quegli attimi, morire per poi ritornare in me. L’ho fatto centinaia e centinaia di volte e mi sto quasi abituando all’idea. Mi chiedo solo se quando verrà nuovamente la mia ora sarò veramente pronto. Credo sia il dubbio comune a tutti gli esseri umani, anche quelli che come me hanno ricevuto una seconda opportunità. Ma chi può dirlo? Si vive una volta sola recita il proverbio.” Rise tra sé e si sistemò il mantello da viaggio. “Riuscii a scappare al termine della battaglia, dopo aver respinto i guerrieri uroni . Svanii nel nulla. Non potevo certo sopportare l’idea di ritornare alla stessa vita che facevo prima. No, il mio tempo di capo era finito, qualunque cosa potessero pensare gli stregoni neri. Avrei voluto assistere al mio funerale, vedere gli onori tributati a una catasta di legna vuota . Non so se gli alti dignitari della tribù abbiano mai capito che ero semplicemente fuggito.
Quel che è certo è che si preoccuparono di salvare le apparenze per evitare di dover dare troppe spiegazioni.”
Gli venne in mente l’immagine della sala del trono, le guardie impettite, i capi villaggio  che venivano di fronte a lui per chiedere grazia o giustizia. Si perse in quei ricordi e si stupì di non averli inclusi nella sua narrazione. “Forse è stato meglio così” realizzò. “Mi piace raccontare, anche se mi accorgo che è sempre più rischioso. Quando mi lascio sfuggire alcuni particolari che solo uno spettatore attivo avrebbe potuto conoscere, non posso far altro che sperare che le mie parole vengano considerate un’esagerazione o una fantasia. Ma il rischio aumenta di giorno in giorno. La mia mente vacilla sempre più spesso e sento che la fine, quella vera, quella da cui nessun negromante potrà salvarmi, sta per arrivare. Ho scoperto anche questo: c’è una seconda vita su questa terra, ma non può certo essere eterna. Non sono diventato un dio e nemmeno un semidio. Sono un
rinato
, un esemplare di una specie esotica che verrebbe guardato con stupore e sospetto se solo qualcuno ne conoscesse l’esistenza. Così mi maschero da viandante e mi annullo agli occhi di tutti. Piccolo Cervo , il guerriero che parla con gli animali, ha però percepito qualcosa. La sua sensibilità alle cose della natura stava quasi per farmi scoprire. Per fortuna non è riuscito a capire cosa mi rendeva così particolare. Chi mai si aspetta di trovarsi di fronte una leggenda?”
Si girò e guardò alle sue spalle, rivolto verso il luogo di quell’incontro. I tre  compagni si erano stupiti che la notte fosse passata così velocemente. “Per uno che ha vissuto tutti questi anni” pensò “il tempo ha acquisito una nuova dimensione. Cos’è una notte trascorsa a parlare? Niente. Scompare alle nostre spalle come sono scomparsi gli anni del mio regno. Forse è per questo che ho la fissazione di raccontare del passato: forse non voglio svanire con lui.”
il grande capo irochesi  si fermò ancora un attimo a godere dell’aria mattutina. Poi rivolse lo sguardo verso nord e si rimise nuovamente in viaggio.