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sabato 5 gennaio 2019

QUEL MARTEDI' SUL PAIONE

Ricordo persino che era un Martedì e c’era poca gente in montagna su quel particolare sentiero, ripido e in alcuni tratti esposto al gelido vento che discende dai laghi Paione, durante la salita non avevamo incontrato anima viva, né alcuno era in vista quando dall’alto avevamo potuto osservare un buon tratto del sentiero che ci portava al rifugio Paione, di ritorno da una gita al dall’alpe San Bernardo. Una volta arrivati al rifugio ci eravamo tolti gli indumenti sudati e ci godevamo il tepore del sole. Renato sonnecchiava, io esploravo i monti circostanti con il binocolo, sperando di avvistare Stambecchi, o Camosci, e forse anche l’Aquila. Dopo aver consumato uno spuntino, una tavoletta di cioccolato, fondente, ci apprestavamo ha rientrare in casa ma la bellezza del posto, e la totale solitudine ci faceva restare lì impalati, ha godere quel tramonto da favola. Quella natura primordiale, assolutamente intatta ci fece tornare a nostra come i nostri avi, due persone che si sentivano libere dai condizionamenti della civiltà. Proprio così, il tempo scorreva veloce, e noi ci attardammo a lungo, come presi da quella natura stupenda. Non c’era nulla che ci disturbasse e ridemmo come pazzi quando ci accorgemmo che per tutto il tempo una famiglia di marmotte ci aveva osservato da poco sotto il rifugio Poi, inevitabilmente, la magia svanì e dovemmo prepararci a scendere dal nostro paradiso per tornare in casa, e prepararci la cena. Mentre preparavo la cena sentimmo il primo tuono lontano, anche il vento era cambiato, ce ne accorgemmo dal senso di freddo che ci aveva improvvisamente attanagliato. La famiglia di marmotte era corsa nella tana, mentre noi potevamo già godere del calduccio della stufa. Da quello che ne so, un temporale in montagna è molto pericoloso, vero Renato? Chiesi io Eh sì! Disse se c’è una cosa che ho sempre temuto è il temporale in montagna. Vedi, quando si cammina per un sentiero allo scoperto, gli oggetti più alti, sono i primi ad attirare un fulmine, ma io disse sono tranquillo, perché ci sei tu che mi fai da parafulmine, alto come sei. Poi visto che serviva ancora legna per il fuoco, uscii dal rifugio per fare scorta di legna. Mentre raccoglievo i pezzi di legno il vento ululava, e in quella imminente tempesta mi sembrava di sentire delle voci cantare, chiamai Renato, ma vuoi l’età vuoi qualche bicchiere di vino che avevamo bevuto per riscaldarci, lui mi disse ridendo che era effetto del vento, o io ero ubriaco. Allora rientrammo nel rifugio, ed io cominciai i preparativi per la cena, una bella pasta con il sugo. Mentre io concentrato accendevo i fornelli, Renato vicino alla stufa al caldo sonnecchiava. Sentimmo bussare alla porta, ci guardammo preoccupati, perche vista l’ora era molto strano ci fosse ancora gente in giro sulla montagna, poi siccome non potevamo restare lì a guardarci come due mummie, andammo ad aprire per vedere chi era a quell’ora, e di cosa avesse bisogno. Indossava una mantellina impermeabile, che risaltava ancora di più con il riflesso del sole che si stava ritirando dietro i monti, coperto dai grandi nuvoloni neri che, arrivando da nord sospinti da una tramontana. Poi il rombo dei tuoni che era già nella valle, e in pochi minuti i fulmini dai bagliori accecanti erano sopra di noi, Il rumore sovrastava lo scroscio di una pioggia gelata che ci colpiva quasi orizzontalmente, sotto il cappuccio una voce femminile ci chiese in italiano molto approssimativo: Scusate Monsieur possiamo fermarci per la notte nella vostra legnaia? Renato guardò la ragazza le fece cenno di entrare, ci accorgemmo che non era sola dietro lei un’altra ragazza, e poi uno alla volta altri otto tra ragazzi e ragazze, Renato disse accomodatevi, e non vi preoccupate per il letto qui è tanto grande che possiamo dormire tutti al caldo, e farci compagnia per la serata, vidi che avevano anche una chitarra, non potei fare a meno di notare la bellezza, della ragazza che aveva chiesto ospitalità pochi minuti prima. Così visto che il cuoco di bordo ero, io fatti quattro conti mi misi all’opera per preparare spaghetti al ragù per tutti, dando fondo alle scorte degli altri soci del rifugio, con Renato che mi guardava con un sorriso beato e mi diceva: fai che poi mi aggiusto io con gli altri. Devo dire qualche parola sul mio amico Renato, una persona dal cuore non grande, ma enorme, tanto che bastava lui vedesse una persona spuntare dalla pineta sottostante il rifugio, che lo vedevi agitarsi per richiamare la sua attenzione, e mi gridava di preparare il caffè per l’ospite che era in arrivo, tanto che gli altri soci del rifugio anche se suoi amici per la pelle, rimanevano stupiti quando certi giorni arrivavano persone convinte fosse un rifugio, bar, ristorante, aperto al pubblico, visto come erano stati benaccolti da Renato, chiaramente il tutto offerto da lui. Pensate che l’anno prima, una mattina alla fine del turno di lavoro mi chiese se lo potevo portare, con la macchina fino all’alpe San Bernardo, poi lui sarebbe rimasto in rifugio tutta la settimana, aspettato il mio prossimo riposo. Così mentre andavo a prenderlo potevo passare un paio di giorni in montagna, il viaggio dal nostro paese, fino a Bognanco era un divertimento unico, arrivati a Domodossola prima sosta dal direttore della Filarmonica locale, per l’offerta come socio sostenitore, poi salita al paese di Bognanco, sosta da un altro amico e anche a lui una offerta per la Pro loco, poi sosta d’obbligo all’albergo Cecilia, di una sua amica nella frazione di Granica, e poi finalmente si partiva per l’alpe S Bernardo, dove lasciavamo il mezzo, e dopo 40 minuti di buon passo arrivavamo al rifugio Paione. Quella volta al mio ritorno mi faceva domande strane, su chi avevo incontrato, nella salita al rifugio la cosa mi sembrava molto strana, ma conoscendo Renato persona normalissima quando era in Paese, ma in montagna si trasformava, e da lui potevi aspettarti ogni tipo di sorpresa, chiaramente non cose strane, ne pericolose, ma molto stravaganti si, e anche un poco incoscienti. Come in quella settimana che rimanendo da solo aveva ospitato degli extracomunitari, per poi accompagnarli il giorno dopo al passo di Monscera per farli scendere in Svizzera, senza nemmeno pensare che queste persone potessero essere clandestini, e per di più dando loro anche l’indirizzo e il numero di telefono, in caso avessero avuto bisogno, se non è incoscienza questa giudicate voi, ma come tutte le cose fatte con ingenuità, tutto finì bene e un giorno gli venne recapitato un pacco con abiti arabi, un bel piatto in argento sbalzato a mano, come ringraziamento per l’aiuto, allora mi spiegai il perchè di tutte quelle domande, aveva paura che lo avessero scoperto gli Svizzeri. O come quella volta che dopo pranzo sparì dal rifugio per tornare dopo qualche ora in compagnia di quello che lui chiamava in cavalier Bertino, un signore che aveva la baita ha pochi minuti dal Paione, tutti e due allegri per avere bevuto la sangrilla di montagna specialità di quest’ultimo, con un canto alpino, e un saluto con la mano, si sono avviati alle brande per dormire fino alle 18 senza che nemmeno il terremoto potesse svegliarli. Un altro giorno visto lui diceva di soffrire d’insonnia andavamo a raccogliere i fiori di una pianticella selvatica che lui chiamava camomilla di montagna, (Anchillea erba -rotta ) che tutto è tranne che un’erba che procura il sonno, ma bensì un digestivo e un tonico per lo stomaco, al pomeriggio dopo pranzo ne bevevamo l’infuso e lui diceva: mi fa dormire come un Ghiro! Quel giorno erano ormai le 17 e lui non si voleva alzare, io lo chiamavo ma lui non rispondeva, salgo per vedere cosa fosse successo , e lui lì che dormiva senza neanche rispondere ai miei richiami, controllai il respiro, era quello di un bambino che dorme felice, cercai di scrollarlo, lui con una smorfia si girava dall’altra parte per continuare il sonno, cominciai a preoccuparmi, poi vidi sul comodino le pastiglie per dormire, doveva prenderne una dopo il pranzo e una dopo cena, con un’altra pastiglia che serviva penso per il cuore, ma quel giorno al posto di prenderne una per tipo ne prese due di sonnifero, così che alle 19, mentre io mi chiedevo cosa fosse meglio fare, tra scendere a valle per chiedere aiuto, o aspettare gli eventi, visto che a prima vista lui sembrava dormisse normalmente, senza problemi, e siccome i telefoni cellulari ancora non li avevano ancora inventati, con la notte imminente decisi di aspettare, dopo pochi minuti ,ed eccolo che apre gli occhi e con uno sguardo curioso mi dice…sa te fet chi? Cosa fai qui, dopo uno sbadiglio e una stiratina, disse hoooo che bella dormita ma è già mattino? Lo guardai, e con il cuore in pace feci finta che nulla fosse successo e scesi per preparare la cena. Ora torniamo alla compagnia che era arrivata quella sera al rifugio, quella fu anche la mia prima volta a contatto con i ragazzi Down, perchè di quella comitiva facevano parte le due ragazze che erano le accompagnatrici, e otto ragazze e ragazzi Dawon che definire speciali è poco, quel giorno è rimasto nei miei ricordi e nel mio cuore tanto che ora ne sto scrivendo la storia: Mentre io e Renato ci chiedevamo interrogandoci con gli occhi su come ci si comportava con queste persone, uno di loro mi si avvicinò e senza nessun problema mi chiese, posso aiutarti?. Ragazzi che botta noi che non sapevamo come comportarci con persone diversamente abili, e loro che insegnavano a me e Renato che loro erano esattamente come noi, anzi molto più abituati al contatto con la gente, di quello che eravamo noi. Con loro, questa fu la prima lezione delle tante che ho avuto stando a contatto con le persone che noi chiamiamo disabili. Tutta la compagnia era salita al piano superiore per cambiarsi e prepararsi per la cena, solo la ragazza che parlava un poco l’Italiano rimase ad aiutarmi, mi spiegava che stavano attraversando Il passo di Monscera perchè di lì a pochi giorni sarebbe stato l’anniversario della prima trasvolata delle Alpi. La ragazza mi racconta che il 23 settembre 1910 il pilota Geo Chavez a bordo del suo aeroplano in occasione del circuito internazionale aereo di Milano, riuscì ad effettuare la trasvolata delle Alpi da Briga a Domodossola battendo il record ottenuto dal treno, in 44 minuti, contro l’ora e sette minuti del treno attraverso il traforo del Sempione. Ma per l’eroe della trasvolata non ci fu il tempo per festeggiare, morì 4 giorni dopo a soli 23 anni per le gravi ferite riportare durante l’atterraggio. Così loro erano partiti a piedi da Briga risalendo le montagne per ripercorrere il percorso della transvolata, poi sarebbero scesi a Domodossola per i festeggiamenti, ormai il più era fatto tempo permettendo il giorno in poche ore potevano arrivare a Bognanco, e il giorno successivo arrivare Domodossola. Una volta finita la cena, vedendo tutti soddisfatti e sazi anche io incominciavo a rilassarmi e senza rendermi conto riuscivo a parlare con tutti loro in una lingua che senza saperlo avevamo inventato al momento, praticamente una via di mezzo fra Italiano, Spagnolo, e Francese. Anche il temporale era finito ora il cielo si era riempito di stelle, io e le ragazze uscimmo per fumare una sigaretta, mentre Renato all’interno del rifugio si divertiva a giocare a tombola con i ragazzi, quando una delle due accompagnatrici finita la sigaretta rientrò, io chiesi alla compagna come mai aveva deciso di fare questo lavoro, che più che un lavoro a me sembrava una missione. La ragazza mi guardò, e si perse in un pianto, uno di quei pianti che ti lasciano il segno dentro, si copri il viso per cercare di nascondere le lacrime nel caso fosse uscito uno dei suoi ragazzi. Poi si fece coraggio asciugò le lacrime e iniziò a parlarmi di sé. Quel lavoro per lei significava un cammino di speranza. Era uscita da una comunità dopo un percorso per cercare di uscire dalla droga aveva scelto di farla finita con quella vita, ma soprattutto quei ragazzi le servivano per restare lontana dalla droga, e non frequentare più le persone sbagliate. Mi raccontò dei furti, delle macchine rubate, del suo prostituirsi per pochi grammi di droga, delle notti passate all’aperto senza coscienza, e con gli occhi socchiusi inebriati dall’alcool e dalla droga, ne parlava pentita, chiedeva perdono ma non sapeva a chi chiederlo se non a Dio. Poi dopo anni vissuti tra carcere e vita sbandata, anni gettati al vento senza un senso senza aver avuto la possibilità di reagire. La possibilità di rendesi utile e fare qualche cosa di veramente giusto, Io notavo che i suoi occhi si esprimevano meglio delle sue parole, aveva capito che la sua vita poteva cambiare in meglio dando aiuto a questi ragazzi, ma soprattutto ricevendo amore e forza per continuare e finalmente uscire da quel mostruoso tunnel . Ormai si era fatto notte, così rientrammo che ormai tutti erano a dormire, dopo esserci salutati lei salì dai suoi ragazzi per la notte mentre io terminavo di sistemare la sala dove avevamo mangiato alla fine stanco morto mi sono addormentato come un Ghiro fino al mattino, quando la voce di Renato mi chiamava perchè era ora di andare a fare una camminata, poi dovevamo andare dal cavaliere che ci aspettava per pranzo, con degli amici guardie forestali. Notai subito che i ragazzi Down con le accompagnatrici erano partiti, chiesi a Renato come mai non mi aveva chiamato per salutarli, lui mi disse che la ragazza che alla sera prima era rimasta a parlare con me non aveva voluto, gli aveva chiesto di lasciarmi dormire perchè alla sera prima le ero sembrato molto stanco, da quel giorno fino ad oggi non ho più saputo niente di loro, ma sono certo che la ragazza, è uscita dalla droga, perchè con l’aiuto di quei ragazzi non poteva non farcela. Cosi dopo una grande mangiata dall’amico Bertino, al pomeriggio siamo scesi a valle e abbiamo fatto rientro a casa. Quella è stata l’ultima volta che sono salito al Paione, varie vicissitudini di vita mi hanno portato da un’altra parte, ma ancora oggi ha distanza di trent’anni ricordo ancora con grande piacere tutte le volte che sono andato su quella montagna e al rifugio Paione, ringrazio anche l’amico Renato e tutti i soci del rifugio, perche senza di loro non avrei conosciuto un posto così bello, e così carico di questi bei ricordi, che oggi ho scritto per onorare questa grande amicizia.

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