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sabato 2 marzo 2019

Il mare di Besano

Vi voglio raccontare una fiaba che inizia con una parolona. Centinaia e più milioni di anni fa, al posto dei nostri laghi, Ceresio, Maggiore, Verbano, c'era un grande mare che ricopriva quasi tutte le terre del nostro continente. Nelle poche terre emerse vivevano diversi piccoli e grandi animali, di questi la maggior parte viveva nel mare. Li c'erano pesci strani, Dinosauri piccoli e grandi, altri vivevano sulle piccole isole che emergevano qua e là, in quel mare azzurro. Dove ora c'è il paese di Besano in val Ceresio, centoventicinque milioni di anni fa, c'era il mare di Besano, lì vivevano gli amici che mi hanno incaricato di raccontare la loro storia. C'era Orfeo, il Tranistròfeo, (Tanystropheus Longobardus) un Dinosauro che abitava le terre emerse, Orfeo aveva un collo lunghissimo, una colorazione mimetica che gli permetteva di catturare, le specie acquatiche del mare di Besano. Orfeo non era un vero e proprio dinosauro, ma da quelli della sua specie sarebbero nati poi quelli che oggi chiamiamo Dinosauri. Il mare di Besano in quei tempi era molto ricco di vita, c'erano molti rettili marini, come gli Ittiosauri capitanati del gigantesco Besanosauro, i Notosauri, i Placonditi. Mentre con il nostro Orfeo, sulla terra abitavano anche il Macroceno, e il Ticinosuco, una specie di di Coccodrillo considerato il padre dei Dinosauri. Orfeo, Lino il Ticinosuco, e Remo il Macroceno, si dividevano le terre emerse, allevando le loro famiglie, vivevano in buoni rapporti di vicinato. Mentre Lino e Remo avevano figli che possiamo definire normali, Orfeo aveva un figlio che gli creava qualche problema, non grandi problemi ma abbastanza da preoccuparlo. Suo figlio Ceresio non si sentiva un Sauro, non voleva cacciare i pesci nel mare, l'acqua gli piaceva solo per fare belle nuotate, la caccia non era per lui. Il piccolo Ceresio si sentiva come un bambino dei giorni nostri giorni, voleva giocare, imparare cose nuove, ma sopra tutto odiava la violenza, verso ogni forma del creato. Questo in quel periodo non era proprio tollerato, se nascevi preda dovevi vivere sempre nel terrore di venire mangiato, se nascevi cacciatore, secondo la tua mole dovevi cacciare, ma nello stesso tempo, guardarti da chi più grande e grosso di te, ti voleva mangiare. Perciò il povero Ceresio era diventato lo zimbello dei fratelli, e anche degli altri cuccioli della zona. La notizia di questo strano Sauro che si rifiutava di cacciare, e sopra tutto di mangiare le specie che erano destinate a questo, faceva sì che da tutte le zone vicine venissero curiosi per vedere quello strano cucciolo. Anche a scuola gli insegnanti si rifiutavano di valutarlo, dicevano che non si impegnava per apprendere l'arte della caccia, mettendolo in disparte, perche altra materia di studio per quei tempi non c'era. Ceresio da parte continuava la sua vita, giocando da solo, e quando il padre gli portava una piccola preda per insegnargli l'arte della caccia, lui con una scusa diceva: Papi vado nella foresta così mi alleno meglio, poi una volta arrivati li, con le lunghe unghie delle dita, sulla prima roccia che trovava, disegnava la figura del cucciolo che gli aveva dato suo padre per allenarsi, poi una volta fatto il disegno, lo lasciava libero, e quando rientrava a casa raccontava ai genitori che aveva liberato la preda. I genitori molto arrabbiati lo mandavano a letto senza cena, ma lui prima di rientrare sapendo quale era la punizione, si rimpinzava di frutta e licheni. Quando il padre lo sgridava, lui con fare serafico rispondeva: io non voglio dipingere la terra e il mare di rosso sangue come fate tutti voi, la terra dove voglio vivere deve avere tutti i colori, perche come l'arcobaleno, tutti i colori sono segno di pace e d'amore. Da allora Sauro cresceva nella natura ignorato da tutti, ma felice nel suo mondo, che gli altri consideravano diverso. Come ogni anno era arrivata la primavera molti sauri a sangue freddo uscivano dai loro rifugi sotterranei per crogiolarsi al primo tiepido sole, Medaura una bellissima Sauretta verde si era svegliata e aveva messo fuori la testolona per assaporare i profumi della primavera. In autunno la sua Mamma, moglie di Orfeo il Tanystropheo, lunga ed elegante nel suo bel colore verde punteggiato di tante macchioline marrone scuro sul dorso e gli occhi grandi e brillanti, l’aveva salutata e le aveva spiegato che tutti i Sauri a sangue freddo dormono tutto l’inverno. Si chiama andare in letargo. Però, con l’arrivo della primavera, il sole caldo li invita a saltare fuori per correre veloci dopo aver scaldato ben bene il loro lungo corpo. La sabbia dove sabbia dove si era rifugiata per l’inverno era fine e nerissima, residuo di qualche eruzione vulcanica avvenuta secoli prima. Man mano che le giornate si allungavano, per l’avvicinarsi dell’estate, Medaura prese coraggio e si mise a scorrazzare, alla scoperta del nuovo ambiente che la circondava. Il sole era caldo. I fiori grandi e colorati. Fiori multicolore bellissimi. Gli insetti erano abbondanti e saporiti. L’erba era verde. Il cielo azzurro, solcato di tanto in tanto da qualche meteorite che cadeva sulla terra creando disastri su quel mondo antico, ma per le ere geologiche ancora un bambino in fasce. Però Medaura si sentiva un po’ sola. Presto non si accontentò di esplorare l’ambiente e andò alla ricerca dei suoi simili. Sapeva che per trovare altri Sauri come lei, decise di avventurarsi all'interno dell'isola. E così fece. Arrivata su di una piccola collinetta, formata rocce vulcaniche. Vide in lontananza la grande mole di Ceresio, alla sua vista Medaura si mise al riparo dietro un grande albero di Ginko Biloba. Ceresio era marrone, non verde come lei, e parlavano una lingua strana, molto simile alla sua ma molto più antica. Notò anche che quel grosso bestione aveva una voce gentile e suadente, mentre si rivolgeva a dei piccoli animaletti che normalmente dovevano essere le sue prede. Anzi giocava con loro ridendo e scherzando. Medaura che aveva bisogno di compagnia, prese coraggio e si avvicinò. Ma i piccoli animaletti alla sua vista fuggirono al riparo della mole di Ceresio. Medaura avvilita, se ne andò ritornando nella foresta. Da allora se ne stava, sola soletta, ai piedi della collina e giocava a rincorrere le ombre delle farfalle e delle nuvole. Un giorno, mentre giocava, si scontrò con qualcuno. Non l’aveva visto, perché si era appiattito sulla roccia, di cui aveva lo stesso colore. Scoprì allora che si trattava di Ceresio e che abitava lì vicino. Tolta la diffidenza iniziale divennero amici. Ma era un’amicizia difficile, perché lei era carnivora, mentre Ceresio vegetariano. Potevano giocare e chiacchierare, ma quando i piccoli amici di Ceresio si avvicinavano l'istinto predatorio era molto forte, e Medaura lo conteneva a fatica. Era bello aver trovato un amico speciale come Ceresio e al tramonto quando si lasciavano rinnovavano l'appuntamento speciale al giorno dopo. Alcune settimane più tardi mentre Medaura si recava da Ceresio, su di un grosso masso vide un piccolo sauro marrone. Era nato da poco probabilmente si era perso, allontanandosi troppo dalla sua mamma. E soprattutto era in pericolo. Su alto nel cielo un grosso Sauro volante lo aveva preso di mira. Medaura era molto generosa e sapeva bene come è pericoloso stare lontano dalla mamma. Non ci pensò due volte. Corse ad aiutare il piccolo, mostrandogli un anfratto sicuro dove nascondersi, poi uscì di nuovo per sfidare il volatile, che vista la sua mole si guardava bene di scendere. Stava per riprendere il cammino alla volta del suo amico Ceresio dove quando vide da lontano una che cercava disperatamente qualcuno. Era una femmina di Ticinosauro sicuramente la mamma del piccolo. Le andò incontro, spiegandole cosa fosse successo e la condusse da lui. Fu commovente assistere al loro incontro: mamma e figlio si abbracciarono forte e si promisero di non perdersi più di vista. Poi la mamma disse che dovevano tornare a casa. Il piccolo Vito però, non aveva nessuna intenzione di andare via e lasciare Medaura che l’aveva salvata con tanto coraggio. I quel mentre al tri si avvicinò Ceresio fu subito riconosciuto dalla mamma del piccolo Vito, Che tranquillizzata, lasciò il piccolo con loro. La mamma di Vito rientrando nel suo territorio raccontò a tutti come grazie a quella avventura, aveva capito che per essere amici non importa il colore della pelle o la lingua che si parla, ma la generosità dei gesti che si fanno.

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